Passo Gavia

Il cartello del passo

da Ponte di Legno

Ponte di Legno (1250m s.l.m.) – Passo Gavia (2652m s.l.m.) – 17km


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La prima rampa

Se il ciclismo è sofferenza, il passo Gavia è stato, per me, l’apoteosi del ciclismo. Ovvero della sofferenza. Avevo già in tasca, dall’anno scorso, lo Stelvio, il Bernina e il “lato B” del Mortirolo (cioè il versante da Edolo), quest’ultimo molto duro. Ero quindi già svezzato e le grandi montagne non erano più un’incognita. Immaginavo che il Gavia fosse duro, ma non mi aspettavo una tale violenza.
La sfida con il mostro attendeva da un anno, quando il tempo incerto di una giornata iniziata col sereno ma poi rannuvolatasi, il freddo e il vento tagliente già a bassa quota mi avevano convinto a desistere, ripiegando (si fa per dire) per il Mortirolo. La bella stagione era ormai finita e non c’era stata più occasione per riprovarci. L’appuntamento era rimandato. Decido quindi di riprovarci al termine della stagione culminata con il grande viaggio nei Balcani. Il trittico di montagne che avevo in mente prevedeva anche il passo San Marco, valico tra la val Brembana e la Valtellina, a poco meno di 2000 metri di quota, che già in passato mi aveva respinto per improvviso calo di forma, e il Sestriere, nota località sciistica del torinese che aveva un valore anche simbolico, avendo io vissuto tanti anni da quelle parti.

La macchinetta delle Salite del Giro

Di nuovo sveglia antelucana, trasferimento in auto fino a Edolo, parcheggio nello stesso posto dell’anno scorso, colazione nello stesso bar, e finalmente si parte. Il tempo, che questa volta sembra non nascondere incognite, manterrà le sue promesse con una bellissima giornata di sole. Da Edolo a Ponte di Legno la strada è tranquilla. Incontro un ciclista tedesco che sta facendo il giro dei passi alpini, oggi è il turno del Tonale, a cui si arriva seguendo la stessa strada per il Gavia e proseguendo dritto a Ponte di Legno, invece di deviare verso quella che è la mia destinazione. Arrivato a Ponte di Legno decido di fermarmi per mangiare qualcosa (e alleggerire la borsa di generi di conforto). Come al solito è troppo pesante e mi rendo conto che mai mangerò tutta quella roba. La sosta è in corrispondenza della funivia, vedo passare alcuni ciclisti che avevo incontrato lungo la strada da Edolo, in particolare due cicloturisti francesi che intendono scalare il Gavia con le borse da viaggio. Riparto, seguo le indicazioni “passo Gavia“, il curvone lambisce esternamente l’abitato e finalmente si arriva all’inizio della strada per il passo.
Un grande cartello ammonisce il ciclista citando la distanza e il dislivello (poi non dite che non ve l’avevamo detto…). Ormai il dado è tratto; il tempo è bello e non ci sono scuse. Si parte. I primi tre quattro kilometri sono normali, è salita, dura ma niente di speciale. Mi chiedo dove stia il trucco. Il trucco si capisce quando la strada si fa ancora più stretta e iniziano le rampe. La pendenza è visibile ad occhio. Ci sono salite, anche dure, che a guardarle non si direbbe; a volte sembra quasi di andare in pianura e non si capisce perchè si stia faticando come delle bestie (per esempio gli ultimi km del passo San Marco).

Lago Bianco

Ma qui la salita si vede, fisicamente, si percepisce chiaramente a vista. In una di queste prime rampe, dato che la cosa si fa seria, decido di fermarmi un attimo per mangiare ancora qualcosa. Prima avevo consumato un po’ di frutta, più che altro per alleggerire la borsetta, adesso è il turno della cioccolata, dei fichi secchi, dei datteri e altra “benzina” ad alto contenuto energetico. Mi fermo qualche minuto in un piccolo spazio a fianco della strada. La pendenza è tale che avrò delle serie difficoltà a ripartire, con la bici che letteralmente si impenna; a complicare ulteriormente la cosa il fatto che l’asfalto è in cattive condizioni e il fondo è sporco di terriccio e altri detriti. Finalmente riparto, ormai ho mangiato e bevuto, e non c’è più niente altro da fare che pedalare. E soffrire. Da quel momento in poi non ci sarà tregua, le pendenze saranno, in una semplice parola, micidiali. Il ritmo è lento, ci sono tanti ciclisti che stanno affrontando il mostro. C’è chi va più forte, che chi va più piano di me. C’è chi va a piedi: un signore tedesco di una certa età in jeans e camicia sale trainando a mano la sua bicicletta “olandese” che avrà almeno 30 anni di vita. Ha una specie di bagaglio e di sicuro sta facendo meno fatica di me. Raggiungo i due francesi con le borse: hanno delle mountain bike con mille marce e salgono regolari. Il paesaggio è molto bello, ma non so dire di preciso cosa si vede, ero troppo impegnato a soffrire. La strada è molto stretta, due auto non ci passano e quando si incrociano una delle due deve tornare indietro fino ad uno degli spazi laterali per le manovre o in qualche curva più larga. Le pendenze sono costanti, e costantemente dure o durissime, le rampe sono lunghe, senza tornanti per riprendere fiato. Al km 14, se tutto quello che avete già passato non fosse sufficiente, c’è la galleria. Sono 200 metri di buio di cui si vede solo l’uscita in fondo, con la strada che non dà la minima tregua. Salita durissima anche in quel budello nero in cui dopo un po’ si perdono i riferimenti. Io mi sono ritrovato a centro strada senza rendermene conto, poi vicinissimo al margine destro, cosa di cui mi sono accorto solo perchè stavo quasi per scivolare sul terriccio. Insomma, non è una bella esperienza. L’alternativa alla galleria è la vecchia strada che però è ridotta ad una pietraia, oltre al fatto che bisogna scavalcare un guard-rail non basso.

Gli ultimi tornanti

Inoltre al momento in cui sono passato io (nel 2007) erano in corso lavori stradali e si rientrava sulla strada da un buco nella rete di protezione del cantiere; comunque, quando salivo ho visto qualcuno che passava per la stradina alternativa. C’è anche il rischio che la galleria sia allungata (come sembrava di capire dai cartelli illustrativi dei lavori in corso), cosa che sarebbe veramente un grosso problema per i ciclisti. Finita la galleria mancano ormai pochi kilometri ma io sono veramente devastato. Dovrò fermarmi un attimo prima di fare l’ultimo sforzo che mi porterà in cima. Nel frattempo arrivano i francesi e arriviamo assieme in cima.
Nella discesa sulla via del ritorno posso vedere in faccia chi sale, e tutti hanno stampata la sofferenza in volto. Credo che il Gavia resterà un bel ricordo di “grande ciclismo”, ma unico, anche se l’entusiasmo per aver sconfitto il mostro (o almeno pareggiato…) è grandissimo, tanto che arrivato a Ponte di Legno, dato che l’ora non è ancora tarda, per un istante ho la malsana idea di girare a sinistra e fare anche il Tonale, che in confronto sarà una passeggiatina. Dev’essere la carenza di ossigeno dell’alta quota che mi fa straparlare, per cui dopo mezzo secondo ritorno in me stesso e punto la bici verso Edolo per tornare a casa.