Partenza intorno alle 9 del mattino; il tempo è incerto, la notte ha pure piovuto: questo giro è stato programmato in gran fretta e inizia con una sensazione di notevole incertezza; ho iniziato le vacanze da qualche giorno nella casa al mare, il relax non dispiace ma mi dico che se non parto subito finisce che mi rammollisco nella parmigiana della mamma e non parto più. Lungo la strada, per un bel po’, continuerò a ripetermi che se qualcosa va storto (principalmente nella mia testa) giro la bici e in giornata sono di nuovo a casa. La prima arteria su cui mettere le ruote è la statale SS113 in direzione Palermo. Per una ventina di km, fino a Barcellona Pozzo di Gotto è trafficata e non c’è niente di particolarmente interessante da vedere. Un po’ perchè sono le mie zone, la strada che ho fatto mille volte nei miei giri in bicicletta quando sono da queste parti, un po’ perchè obiettivamente il paesaggio è molto urbanizzato. Fa eccezione capo Milazzo, che necessita di una deviazione di diversi km dalla statale per percorrere le due strade della riviera di levante e ponente. Deviazione che non faccio perchè ci sono andato già innumerevoli volte, ma se capitate da queste parti è d’obbligo e specialmente in una giornata di vento lo spettacolo del mare blu increspato di bianco è grandioso. Dopo Barcellona Pozzo di Gotto la strada migliora notevolmente, da Terme Vigliatore e Oliveri in poi. Ad Oliveri inizia la salita di Tindari, alcuni kilometri non difficili in cui la strada si arrampica verso il grande santuario e da cui si gode un ampio panorama. Dallo spiazzale davanti al santuario si vedono i laghetti di Marinello, che meritano anche questi una sosta.
Da Tindari in avanti per me è tutto nuovo, perchè nei miei giri non mi sono mai spinto oltre. La strada è ora molto più godibile e molto vicina al mare. Si doppiano Capo Calavà e Capo d’Orlando, dove oggi il vento è particolarmente forte e contrario: sono giornate di maestrale, vento di mare da Ovest; saranno 140km di vento contrario sui 160 della tappa.
Nei pressi di Capo d’Orlando mi fermo ad una fontana per rifornirmi d’acqua. La prima persona che incontro nella giornata mi chiede, come spesso succede, che giro sto facendo. Scoperta la località da cui sono partito mi chiede “se conosco suo cognato” che abita nel paese accanto, meravigliandosi quasi contrariato del fatto che, sfortunatamente, non lo conosco: possibile che non conosca suo cognato ? ma dove vivo ? Cose che possono succedere solo qui.

Si attraversano varie località che non ho mai visto direttamente ma i nomi ritornano in mente per vari motivi: S. Agata di Militello, Caronia – il paese dei misteriosi fuochi che hanno portato agli onori della cronaca già 10 anni fa, con recentissime repliche, un luogo altrimento del tutto sconosciuto ai più. S. Stefano di Camastra – il paese delle ceramiche, una vera e propria esposizione a cielo aperto di pregiate ceramiche artistiche dipinte a mano. L’altimetria, a parte lo strappo di Tindari, non è particolarmente dura; solo il vento sta amplificando più del giusto una fatica che altrimenti sarebbe abbastanza moderata; in compenso rinfresca decisamente l’aria e non c’è traccia del caldo che chiunque si aspetterebbe a Luglio intorno al 38° parallelo. Superato S. Stefano decido di proseguire e ormai tanto vale arrivare a Cefalù, località nota e rinomata, dove un posto per dormire dovrei trovarlo senza troppi problemi. Negli ultimi km si vede la rocca che sta alle spalle del borgo e che modella il panorama in modo inconfondibile. Arrivo nella cittadina mescolandomi con frotte di turisti nei vicoli del borgo, un po’ snaturati a dire il vero, come sempre succede in questi casi, da mille negozi di prodotti artigianali più o meno tipici e più o meno autentici. Menu della giornata: panino col pomodoro e pecorino più tre paste dolci con ricotta e pistacchio, il tutto acquistato in un negozietto che sta esattamente sullo scollinamento di Tindari, come carburante per la giornata, mentre a cena pasta alla norma e involtini di carne (quelli che a Messina si chiamano “braciole”). Traffico scarso tranne che nell’attraversamento dei centri abitati più grandi, ma sempre entro limiti di grande tranquillità.

Parto di buon mattino, l’aria è fresca e il vento del giorno prima è un po’ calato. Direzione ovest per Palermo. Il primo impatto è con il lunghissimo rettilineo di Campofelice di Roccella, 7km infiniti di strada dritta che vi accompagneranno fino quasi a Termini Imerese, tranne una digressione  di qualche km in corrispondenza della foce del fiume Torto dopo Buonfornello; c’è un po’ di salita ma si guadagna in varietà del paesaggio, che dopo tanta strada vicino al mare si addentra per qualche km nell’entroterra. Termini Imerese è il primo centro abitato di una certa dimensione; l’attraversamento in direzione Palermo prevede un po’ di salita e la prima immersione, seppur brevissima, nella vita locale. L’inflessione dialettale è già diversa e vira decisamente verso il palermitano. Supero Trabia, la strada corre vicino al mare, si sta bene, il clima è fresco e il paesaggio godibile. Mi avvicino a Bagheria che attraverso in direzione Ficarazzi, dove troverò la prima fontana della giornata. Entro a Palermo su una strada tutto sommato tranquilla. Pensavo di trovare un Kaos pirandelliano e un traffico selvaggio da grande metropoli sudamericana, ma la realtà è fortunatamente diversa. Seguo il lungomare in direzione Sferracavallo attraversando il parco della Favorita, su un lungo e ombroso viale alberato piacevolissimo da attraversare. A Sferracavallo riprendo la strada dopo una pausa-pranzo a Isola delle Femmine; mi dirigo quindi in direzione Trapani attraversando Capaci. Un lungo cavalcavia fa superare la vicina autostrada e un grande cartello ricorda le vittime della mafia che proprio qui lanciò negli anni ’90 uno dei più efferati attacchi a chi la stava combattendo. Anche l’aeroporto “Falcone e Borsellino” sta lì a ricordare quei tragici eventi. Proseguo in direzione dell’aeroporto di Punta Raisi e raggiungo Cinisi, il paese dei “cento passi” di Peppino Impastato. Questi nomi stanno a ricordare come “il traffico” ha storicamente (e non ha ancora cessato di farlo) soffocato la bellezza e la vita di questi luoghi.
La strada si snoda stretta tra il mare e possenti montagne brulle dai colori forti. Tra Palermo e Sferracavallo si lascia alla propria destra il celebre Monte Pellegrino; adesso si costeggiano Monte Pecoraro e Monte Palmeto che si stagliano sui centri abitati di Cinisi, Terrasini e Partinico. In corrispondenza del bivio per Partinico lascio la SS113 e mi avvio sulla SS187. Due lunghe gallerie fanno superare i centri abitati di Trappeto e Balestrate (dove probabilmente è meglio attraversare i paesi che fare le gallerie). E’ primo pomeriggio, fa ormai caldo, dopo Balestrate c’è una breve digressione all’interno in corrispondenza della foce del fiume Finocchio (da queste parti la toponomastica può essere molto interessante). La giornata si chiude a Castellammare del Golfo, una vera e propria perla che non conoscevo se non di nome. Trascorro il resto del pomeriggio a gironzolare nel centro storico e a prendere il fresco nella grande piazza affacciata sul mare di fronte all’albergo in cui ho trovato riparo per la notte. Ancora una cena a base di ottima cucina tipica (praticamente la cucina di casa mia) chiusa da un obbligatorio cannolo alla ricotta.

Da Castellammare la giornata inizia subito in salita. Per uscire dalla città bisogna affrontare i tornanti della salita che si arrampica sulla montagna che circonda la parte bassa, la città vecchia, tornanti che si vedono dalla grande balconata sul mare di fronte all’albergo, per cui già dal giorno prima si sa a cosa si andrà incontro la mattina dopo. Prima di partire non mi faccio mancare un rifornimento di dolci di vario tipo dal panificio all’angolo, dolci che opportunamente reintegrati nei giorni successivi saranno la mia scorta di benzina per tutto il resto del viaggio. La salita non è in realtà eccessivamente impegnativa, per lo più al 5% con brevi tratti all’ 8-9%. Questa è solo la prima delle tre salite che bisogna affrontare per arrivare a Trapani ed è lunga 5km. Dopo altrettanti di discesa inizia la seconda che termina a Balata di Baida; si scende quindi fino a Busseto Palizzolo per poi risalire a Valderice, paesello ridente sotto la rocca di Erice. Superata Valderice si scende a precipizio fino a Trapani godendo sia della discesa sia di un ampio panorama sulla città e sul mare. Il paesaggio che si offre tra Castellammare e Trapani è di grande bellezza. Se le strade costiere aprono lo sguardo con il mare che riempie la maggior parte del campo visivo, percorrere i tratti nell’entroterra fa entrare in un vero e proprio giardino dell’Eden lussureggiante di palme e macchia mediterranea, misto a tratti più aridi, a volte desertici, ma in ogni caso mai noiosi. Nonostante non viva più da queste parti da molti anni, questo tipo di paesaggio si è impresso nella mia mente durante i miei primi 18 anni di vita e rappresenta la terra madre come dovrebbe essere. Le salite non sono mai troppo impegnative e un minimo di traffico, sempre molto tranquillo, non fa sentire troppo soli. Supero rapidamente la città di Trapani e mi dirigo verso Marsala sulla SS115. La SS113, Settentrionale Sicula è quindi definitivamente abbandonata e si inizia la Sud-Occidentale Sicula, che ci accompagnerà nel giro di boa di Marsala e quindi punterà a sud-est fino al secondo giro di boa, quello di Siracusa.
La strada diretta Trapani-Marsala SS115 viaggia qualche km nell’entroterra. Molto più interessante è la parallela che passa per Birgi di fronte all’isola di Mozia e nelle vicinanze delle saline. Poco distante si scorgono le isole Egadi. Questa via alternativa si può raggiungere in corrispondenza dell’abitato di Paceco deviando per Marausa o direttamente da Trapani (sapendo come, ma non era il mio caso).
Raggiungo Marsala sul lungomare Salinella inondato di sole e raggiungo capo Lilibeo, la punta occidentale più estrema dell’isola, luogo di grande pace e bellezza dove mi fermo per rifocillarmi. Durante la breve pausa pranzo quattro giovani del luogo mi interrogano sul come-dove-perchè del viaggio, sulla bellezza dell’avventura “però io non lo farei manco sparato” e con la fatidica domanda “ma se scoppi comu fai ?“. Fatti i debiti scongiuri, perchè la foratura non va mai evocata, neanche per scherzo, proseguo ancora fuori dalla SS115 seguendo il litorale fino a Terrenove e Strasatti, successivamente riprendendo la statale dato che il lungomare non prosegue oltre. La SS115 è qui un po’ brulla, polverosa, selvatica e quasi ostile, ma anche questo fa parte del gioco. Siamo in Sicilia, se volete l’erbetta verde rasata come un prato inglese a bordo strada andate in Norvegia.

Raggiungo Mazara del Vallo, centro a vocazione marinara e agricola. Da qui partono i pescherecci che anni fa venivano spesso sequestrati da motovedette libiche per questioni di acque territoriali. E’ un po’ che non sento più notizie su quei fatti, non so se perchè non succede più o se perchè la cronaca non se ne occupa. Proseguo sul litorale fino a Granitola e Torretta, su una strada vicinissima al mare in compagnia dei gabbiani allineati sulle basse rocce della costa, teatro di un sorpasso stile F1 ai danni di una “lapa”, tipico mezzo di trasporto siculo. La sterpaglia a bordo strada, fatta di gialle piante spinose aduse al clima locale, spesso è la casa di tantissime piccole chiocciole che dormono (?) attaccate agli arbusti. Occasionalmente si vedono dei bunker lascito della seconda guerra mondiale, costruiti dai tedeschi per contrastare lo sbarco alleato del 1943.
A Granitola la strada lascia il mare e torno a puntare verso l’interno per attraversare Campobello di Mazara. L’idea è di fermarsi a Castelvetrano, dove però inaspettatamente non trovo un posto per dormire. Vengo indirizzato da persone del luogo verso Selinunte, dove la presenza di un rinomato sito archeologico di grande attrattiva turistica garantirà un posto per dormire, ma sbaglio strada e mi ritrovo lanciato a grande velocità su una discesa che punta sì verso il mare, ma non è quella giusta, bensì una parallela che finisce nel villaggio di Triscina, dal quale però non c’è modo di arrivare a Selinunte se non tornando indietro. Mi rendo presto conto dell’errore ma la bicicletta, presa da un entusiasmo quasi del tutto autonomo dalla mia volontà, sta scendendo a gran velocità; fortunatamente riesco a domarla e fermarmi presso una abitazione, dove il prototipo dell’uomo siculo mi spiega come arrivare a Selinunte, ma prima di giungervi mi imbatto per caso nella “Masseria Anni Trenta“. Un enorme cartello promette “Qui si mangia siciliano”, per cui già partiamo col piede giusto. Suono al campanello, o per meglio dire al campanaccio appeso su una porticina. Due canuzzi da qualche parte nel giardino accendono automaticamente “l’allarme” subito tacitato da una voce e dopo qualche istante appare una signora. La possibilità di pernottare c’è, il posto sembra interessante per cui Selinunte può attendere (anche perchè ci sono già stato anni fa). Il tempo di una doccia e di apprezzare il piccolo appartamento rustico tutto per me, dove lo scarico del bagno è con la catenella come si usava una volta, e un giro di perlustrazione nell’ampio giardino mi fa capire che questo non è un agriturismo qualsiasi. Il posto è decisamente agreste, ma soprattutto è pieno di animali di ogni tipo: galline, che oltre a far parte dell’arredamento sotto forma di quadri alle pareti della casa e di brocche e boccali vari, popolano in gran numero i vialetti del giardino; si enumerano inoltre varie papere, cinque tacchini, la cui principale occupazione sembra darsi fastidio gli uni con gli altri e all’occorrenza dare fastidio agli altri animali (apparentemente solo per il gusto di farlo), alcuni galli, un emu che passeggia impettito nell’ampio spazio a sua disposizione, un daino, due capre, diversi asini, un pony, un numero imprecisato di pulcini, due bellissimi pavoni che condividono la voliera con altri uccelli, uno scoiattolo e addirittura un armadillo. Un misto di rigoroso interesse scientifico e smodata curiosità infantile mi coglie sempre in presenza di pollame e affini, per cui trascorrerò le ore che mancano a cena ad osservare questa variegata popolazione di animali da cortile. La signora che gestisce la masseria è in realtà bergamasca e il suo aiutante è rumeno, ma il cartello che prometteva cibo siciliano non mente. La cena a base di “pasta alla carrettiera” e un piatto di secondi misti è abbondantissima e buonissima. Recupero tutte le calorie spese durante la giornata, il giorno prima e pure quelle di due giorni fa, con qualche scorta per l’indomani…

Gli animali da cortile sono già attivi da tempo all’ora di colazione. La tentazione di fare un giorno di pausa per visitare Selinunte e proseguire lo studio approfondito della fauna locale è forte, ma non sono per niente affaticato, il tempo che mi sono dato per il viaggio non è tanto e un po’ a malincuore decido di ripartire in direzione Menfi. La via più diretta è ancora la SS115, ma nei pressi della Masseria Anni Trenta c’è una prima deviazione per la ex SS115 (la vecchia strada prima che fosse costruita la nuova, molto più scorrevole), che permette di inoltrarsi in tutta tranquillità e totalmente fuori dal traffico. Già sulla statale il traffico è poco, qui non c’è letteralmente nessuno. Dalle parti di Torrenuova c’è addirittura una bella pista ciclabile ricavata sulla sede di una vecchia ferrovia. Lasciata la pista ciclabile si prosegue per Sciacca, dopo la quale si riprende la nuova SS115 in direzione Agrigento. La SS115 è ora uno stradone veloce, non particolarmente trafficato ma neanche una stradina di campagna. E’ molto larga, c’è tanto spazio per tutti e nessun problema anche quando il traffico è più intenso o si è raggiunti dai (non pochi) mezzi pesanti in circolazione. La strada ha un po’ di saliscendi, un grande curvone in corrispondenza del bivio per Ribera, altre lunghe discese e vari su e giù mai particolarmente duri. Si raggiunge Montallegro e si attraversano due lunghe gallerie per arrivare a Siculiana e poi a Porto Empedocle. Da Montallegro dovrebbe essere possibile prendere una strada secondaria che porta fino a Siculiana permettendo di evitare un po’ di statale, come in effetti è riportato su una mappa e come si vedeva dai viadotti della statale. Il paesaggio è verde di basse colline morbide. Successivamente la strada costeggia montagne dall’aspetto massiccio, appunto tra Montallegro e Siculiana, e la vista, anche dai viadotti della statale, è molto interessante.
Mi fermo a Porto Empedocle, il paese natale del noto scrittore Andrea Camilleri. Ci sono vari segni che riportano al celebre personaggio letterario/televisivo del Commissario Montalbano: l’ottica Vigata, il ristorante con il menu del commissario e così via. Nel pomeriggio mi infilo tra la popolazione che sciama nella via principale e immergo le orecchie nella lingua locale, che trovo estremamente bella da ascoltare. Sarà che è la mia lingua madre, ma questo aspetto del viaggio mi sta piacendo particolarmente.