11 Luglio 2015 

Il violento rumore di ferraglia che caratterizza l’attracco dei traghetti che trasportano mezzi motorizzati e l’apertura della grande bocca di prua da cui defluiscono possenti TIR a dieci assi è la colonna sonora dello sbarco a Durazzo, intorno alle 9 di mattina. Il primo impatto è con i portuali che ci augurano “buon vancanza in bici” e subito dopo lungo la strada con bambini e donne che chiedono l’elemosina e ci alleggeriscono delle prime monetine in €. Primo commento di Bikermary: “che caldo che fa già a quest’ora”.
Da Durazzo si prende una specie di superstrada che bisognerà seguire per diversi km. Incontriamo il primo e unico treno visto marciare sulla rete ferroviaria albanese. Avremo modo di visitare a fine viaggio la stazione di Durazzo, i cui unici visitatori oltre a noi saranno un uomo seduto su una sedia e un grosso ratto curioso.

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Un grande moschea bianca si vede a distanza sulla destra. La strada attraversa una pianura che termina sul mare, a destra, mentre a sinistra ci sono basse colline. A bordo strada si trovano gruppetti di persone che aspettano qualcosa (bus, passaggi, carretti ?). Più avanti si incrociano banchetti improvvisati per la vendita di frutta e verdura, una specie di tavolino, due sgabelli e un ombrellone da bar. La prima cittadina che si attraversa, a parte il passaggio fugace all’esterno di Kavaje, è Rrogozhine, la porta d’ingresso per la valle del fiume Shkumbin, che ci porterà a Elbasan. Lo stradone della valle dello Shkumbin è inizialmente largo, brullo e polveroso, poi il paesaggio diventa più verde. I primi automobilisti ci salutano col clacson e noi rispondiamo strombazzando con la nostra trombetta.

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La campagna è molto verde e circondata da colline. Si incontrano i primi LAVAZH, ovvero autolavaggi, attività di primaria importanza nell’economia albanese, dedicati al lavaggio delle innumerevoli Mercedes che si incontrano per strada. Un LAVAZH può essere anche solo un rettangolo di cemento e un tubo per innaffiare le piante. Ce ne sono tantissimi, così come le fontanelle che ci salveranno più avanti, quando la calura si farà veramente pesante. Intorno alle 15 si arriva ad Elbasan, accolti da un mappamondo di metallo all’interno di una rotonda, pregevole monumento al mondo che ci circonda. La città è di aspetto moderno con un piccolo centro storico che visiteremo più tardi. Per fare il punto della situazione ci fermiamo davanti ad un altro elemento fondamentale, il GUMISTERI, ovvero il gommista per le gomme delle vostre beneamate Mercedes. Troviamo facilmente un albergo in centro e dopo una rinfrescata usciamo per una passeggiata nella calura più devastante di un pomeriggio di luglio. Il primo incontro è con la signora della gelateria che ci vuole addirittura regalare i gelati perchè non ha il resto dei bigliettoni che ci sono appena stati sputati dal bancomat locale. La sera cena al ristorante con quattro gatti: Gatto Silvestro bianco e nero, un altro senza orecchie che mangiava di tutto, il terzo più schizzinoso che non accettava melanzane fritte dagli sconosciuti e un altro che non ci ha lasciato particolari ricordi.
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Il centro storico è un’area circondata da mura ottomane costruite sui resti di fortificazioni bizantine e romane, al cui interno si trovano una moschea, una chiesa ortodossa e una greco-cattolica. Chiudiamo la serata con una passeggiata digestiva e poi tutti a nanna.



 12 Luglio 2015 

Usciamo da Elbasan intorno alle 9:30 avviandoci verso la periferia che porta sulla strada per la Macedonia. Per adesso la strada è abbastanza pianeggiante e si viaggia senza difficoltà, più avanti ci saranno numerosi saliscendi che alternano tratti a buona velocità con tratti lenti. Attraversiamo la cittadina di Librazhd e successivamente, lungo la strada in aperta campagna incrociamo la donna-cespuglio, che guida le sue capre con un grande fascio di rami e foglie caricato sulle spalle. Da dietro sembra un grosso cespuglio semovente con le gambe. Per indurre le capre a muoversi le prende a pietrate.

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Il traffico è scarso e le cicale ci accompagnano nel nostro procedere.
A ora di pranzo ci fermiamo in uno dei tanti distributori (e ovviamente LAVAZH) e facciamo la nostra prima conoscenza con la popolazione locale. Incontriamo Artan, gestore del distributore, che ci offre bevande fresche e con il quale intratteniamo una lunga chiacchiarata in una lingua un po’ mista tra l’italiano, che conosce molto approssimativamente, l’inglese e l’albanese. Ci racconta dei suoi familiari in Friuli ed è il primo dei tanti che manifesta il suo affetto per il popolo italiano. Questa sarà una costante del viaggio, poichè moltissimi albanesi parlano italiano (alcuni molto bene) e amano gli italiani. Alla ripartenza ci attende ancora un tratto di leggera salitella con vari saliscendi fino ad arrivare a Prrenjas, ultimo centro abitato prima del confine con la Macedonia. Mangiamo qui qualcosa nell’ennesimo distributore prima della salita che porta in Macedonia. Lungo la strada ancora una ferrovia sulla quale non troveremo mai nessun treno. Di fronte a noi le colline che ci separano dal lago di Ohrid e dalla Macedonia.

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La strada si impenna poco dopo Prrenjas per alcuni km di tornanti abbastanza duri anche a causa del gran caldo. Alla base della salita numerosi LAVAZH con gente che lava interi TIR con il tubo per innaffiare le piante, spandendo acqua a profusione. L’acqua sembra non mancare da queste parti. In breve tempo si lascia la città e dalla salita si può vedere Prrenjas dall’alto e il laghetto indicato sulla mappa come Rezervuari i Prrenjasit. Mentre arranchiamo con le nostre bici cariche la gente che scende in macchina ci saluta con il clacson e il braccio fuori dal finstrino (le due cose – scendere e macchina – semplificano molto la vita).
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Si va dai 600m di quota di Prrenjas ai 1000 del confine in 7km, con pendenze anche del 7% e oltre; insomma, non è una passeggiata. Arrivati in cima si scorge il lago di Ohrid che sta 300m più in basso, in fondo ad una velocissima discesa che dovremo pagara amaramente rifacendo la stessa strada in salita tra una settimana, dopo aver completato il giro della Macedonia. Ovviamente in discesa la strada fatta nel primo pomeriggio era tutta all’ombra, mentre in salita, al mattino, sarà tutta al sole.

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Inoltre la strada sul versante macedone non ha tornanti che aiutino a salire. Allo scollinamento si trova la frontiera in cui si fa l’obbligatoria foto con il cartello Republica Makedonia in cirillico. Il primo assaggio di Macedonia è con una grande moschea e un cimitero musulmano, nell’avvicinarsi a Struga. Arriviamo quindi sul lago, dove una moltitudine di bagnanti popola le rive in tenuta balneare, anche se siamo a 700m sul livello del mare. Un folto gregge di pecore apprezza la balneazione brucando sulla spiaggia. Attraverso strade minori arriviamo a Ohrid dove prendiamo alloggio in un albergo in riva al lago con bella vista panoramica ma la notte sarà insonne causa discoteca con musica balcanica a palla nelle vicinanze.


 


 13 Luglio 2015 

Da Ohrid ci allontaniamo dal lago per addentrarci nell’entroterra lungo una strada in leggera pendenza. Dopo 15km inizierà la prima salita della giornata (non difficile, intorno al 5%) che porta ad un passo a 1200m in 7km. Il paesaggio è molto verde e offre alcuni punti per il “pit stop”, durante uno dei quali siamo avvicinati da un ciclista locale in bici da corsa e abbigliamento tecnico primi anni ’90 che apprezza molto le nostre frecce d’argento e si informa sul prezzo; dalla faccia che fa si intuisce che lo troverà esorbitante per lo standard macedone. Dopo un breve scambio culturale lui riprende la salita col suo ritmo e noi proseguiamo più lentamente. Dopo lo scollinamento e la discesa di 4km circa iniza un falsopiano in leggera discesa nella valle costeggiata da verdi colline. Troviamo un posto all’ombra presso una casupola vicino ad una zona di alberi da frutto. Mangiamo il nostro pasto frugale osservando il paesaggio e l’orologio da albero, un vecchio orologio fermo alle 6 e un quarto, appeso ad un ramo. E’ una di quelle cose senza importanza e probabilmente senza significato per chiunque tranne per noi che eravamo lì, ma la foto dell’orologio da albero è ormai un ricordo e ci riporta a quel particolare momento.

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Siamo nei pressi di Resen, una cittadina a metà strada del percorso di oggi. Nell’avvicinamento al centro incontriamo un ciclista in mountain bike che si offre di accompagnarci in città per farci assaggiare una focaccina locale in un posto che conosce lui. Questo secondo ciclista è decisamente più tecnico e aggiornato del precedente; ci guida tra le vie della città fino ad un giardino pubblico in centro, ma sfortunatamente il posto che cerca è chiuso. Si offre di accompagnarci da un’altra parte ma si prospetta una digressione forse un po’ lunga per cui decliniamo gentilmente e proseguiamo. Usciamo dalla cittadina lungo una strada che punta alle colline che dividono la municipalità di Resen da quella di Bitola. La seconda salita si prospetta impegnativa (7-8%) seppur breve. Inoltre ormai fa caldo anche se siamo sempre abbastanza in quota. Il secondo scollinamento è a 1150m. Seguono 5km di discesa, poi 7 di pianura o brevi salitelle e infine una bella discesa di 10km fino a Bitola, ovvero Biii-to-laaaaa, come esclama Bikermary ogni volta che nomino la città o si vede un cartello col nome, facendo il verso alle note caramelle il cui nome suona simile.

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La città si presenta molto viva e piena di gente che passeggia in centro. Fa un caldo terribile e mentre ci guardiamo attorno, appena arrivati, per capire dove andare a cercare un hotel, una signora si avvicina e ci chiede da dove arriviamo. Saputo che siamo italiani spiega felice che sua figlia studia pianoforte a Trieste. Ci indica anche un albergo che non siamo riusciti a trovare in nessun modo. Dopo qualche ricerca a vuoto ne troviamo un altro. Durante la passeggiata in centro ci imbattiamo nel monumento a tale Stevan Naumov, erone nazionale jugoslavo della seconda guerra mondiale, partigiano che combattè contro le forze dell’occupazione bulgara (alleati dei nazisti) e si tolse la vita per non cadere nelle mani dei nemici in un’imboscata. Il monumento lo ritrae fiero e prestante, in una classica posa da icona del socialismo reale. Altro chiaro segno di un passato glorioso è la sede dell’ SDSM – Sotsialdemokratsi Soyouz na Makedonia – Unione Socialdemocratica di Macedonia (ovviamente scritto in cirillico che famolto Soviet).

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Successivamente troviamo un buco (perchè negozio è una parola grossa) dove acquistiamo alcuni CD di musica tradizionale macedone con canzoni popolari e patriottiche, dalla qualità musicale interessante. ma un po’ carenti dal punto di vista della varietà delle melodie che ad un orecchio poco raffinato potrebbero sembrare tutte uguali… Infine siamo amichevolmente abbordati da un cane di media taglia che si avvicina con evidenti intenzioni di farsi adottare, dal momento che inizia a seguirci in ogni nostro movimento e riusciremo a seminarlo solo quando sarà distratto da un altro (o forse un’altra ?) suo simile che lo attrae, altrimenti ce lo saremmo dovuti portare appresso per altri 700km perchè non si scollava letteralmente dai nostri passi.


 


 14 Luglio 2015 

Da Bitola si esce in direzione Prilep lungo uno stradone largo in mezzo ad una bella valle ampia e dalla grande visuale. Le colline sono distanti e si viaggia a buona velocità. Sono 30km in piano, poi 15 in leggera salita. Un incontro meritevole di menzione è quello con una vecchia Fiat 600 gialla con rimorchio che rientra da sinistra uscendo da un campo e tagliando come se niente fosse la strada da una parte all’altra. A metà strada si incontra Prilep, unico centro abitato di una certa dimensione prima dell’arrivo di tappa.

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L’avvicinamento lungo una strada laterale vede l’interessante avvistamente di una tartaruga che sta attraversando la strada col suo passo. Il traffico è scarso, ma rischio è comunque alto e dubitiamo che sarebbe arrivata indenne dall’altra parte. Quindi mi fermo, la prelevo e la trasborto nel prato a bordo strada verso il quale si sta dirigendo, oltre a fare un completo servizio fotografico della simpatica bestiola. Una volta riposizionata a terra ci vuole qualche minuto prima che l’animale riprenda fiducia ed esca dalla sua corazza. Ci guarda con gratitudine (forse) e quindi riparte, peraltro a velocità decisamente più sostenuta rispetto a quella che teneva un minuto prima sull’asfalto, scomparendo rapidamente nella vegetazione. Soddisfatti della buona azione riprendiamo a pedalare e in pochi minuti arriviamo alla prima periferia di Prilep. L’impressione immediata fa sgorgare dal mio profondo un sonoro “ma che posto di m…“, mentre a Bikermary esso evoca i momenti desolati della sua adolescenza durante la quale era costretta a trascorrere le sue vacanze estive nella ridente cittadina del foggiano chiamata Orta Nova, il cui aspetto di 30 anni fa è, a suo dire, sostanzialmente identico a quello del sobborgo di Prilep in cui ci troviamo: strada con asfalto per lo più smozzicato e polveroso, fabbricati non sempre ultimati, spaccio di alimentari con varia mercanzia esposta all’aperto e alla polvere, in particolare una gran quantità di sacchetti di pane; rottami di varia natura accatastati in giro. Dopo aver commentato brevemente la cosa e aver consultato la mappa riprendiamo la strada, attraversando un mercato all’aperto con banchi di frutta e verdura presidiati da personaggi dall’aspetto losco e inquietante, innumerevoli scheletri di probabili serre in disuso (collocate anche sui tetti delle autorimesse), cavi elettrici distesi tra i pali a bordo strada in fasci disordinati e contro ogni norma di sicurezza, Fiat 126 e altre vecchie auto di epoca yugoslava, silos arrugginiti, reticolati e recinzioni di lamiere cadenti, marciapiedi sterrati, strutture portanti in cemento armato di edifici mai finiti, insomma quanto di più balcanico si possa immaginare.

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Entriamo quindi nel centro abitato vero e proprio che si presenta tutto sommato più civilizzato. Ci fermiamo in un giardinetto pubblico a mangiare in compagnia di alcuni bambini che giocano a breve distanza e vicino ad una bella fontana di acqua fresca. Da Prilep riprendiamo la strada cercando uno dei possibili percorsi che dovrebbe portarci direttamente a Veles, sulla strada per Skopije. In realtà arrivati ad un bivio e chiedendo ad un distributore di benzina ci viene detto che la strada che cerchiamo non è praticabile (o non esiste, non si è capito bene), nonostante sulle mappe sia chiaramente segnata come una strada normale. Taglieremmo diversi km saltando una cittadina che per la verità non avrebbe nessun particolare interesse (come in effetti si è rivelato) ma solo una eventuale utilità come tappa intermedia del viaggio per trovare alloggio. Ci saremmo però persi l’incontro con due camionisti locali che ad una fontana presso la quale sostiamo ci regalano alcune buonissime pesche, indicandoci la zona da cui proviene la frutta e che attraverseremo il giorno dopo.

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Ci attende quindi una salita di circa 6km e poi una lunghissima discesa di 30km prima di arrivare a destinazione. La lunghissima discesa è il percorso a ritroso di un tratto che avevo pianificato nel 2007 e che non feci a causa dell’inconveniente alla ruota occorsomi a Salonicco. Mentre scendo ho i brividi a pensare che mi sarei trovato quei 30km di salita, certo non lo Stelvio, ma pur sempre 30km di salita. La zona è ricca di vigneti confermando le informazioni che avevo letto prima di partire su Kavadartsi come luogo di produzione e degustazione di vino.

Ultima sosta presso la “Benzinska pumpa n.1” poco prima di Kavadartsi e infine l’arrivo di tappa all’hotel UNI PALAS, dove ceneremo con una pizza tutto sommato discreta, non senza aver specificato senza ketchup (contrariamente a come indicato nel menu).