19 Luglio 2015 

Oggi si percorrono strade già viste. E’ abbastanza inusuale in un viaggio di questo genere tornare su strade già percorse, ma la non facile orografia dell’area in cui ci troviamo, soprattutto la zona di confine tra Albania e Macedonia, ci obbliga a tornare sui nostri passi per evitare valichi montani ancora più alti e più duri di quelli già scalati nei giorni scorsi, che hanno consumato a sufficienza le nostre energie, inoltre in zone in cui l’offerta di alloggio è scarsa. Inoltre prima di partire “giravano” notizie incontrollate sullo stato delle strade albanesi, notizie lette in rete su diari di viaggio anche recenti in cui si avvertiva del cattivo stato dell’asfalto (o proprio la sua mancanza) nelle zone più remote, cosa che ci avrebbe messo in grossa difficoltà. A onor del vero devo dire che in tutto il viaggio, a parte forse un km di strada e l’avventura sulle colline prima di Skopje (dovuta probabilmente a lavori stradali), per il resto le strade sono state in condizioni più che soddisfacenti.
Il percorso è quindi la replica al contrario del secondo giorno di viaggio ma stavolta la bella discesa all’ombra per raggiungere il lago di Ohrid è una dura salita al sole, e l’ultimo km è decisamente duro. Si raggiunge il posto di confine dopo aver percorso circa 4km pianeggianti sul valico tra i due versanti, in una zona che mi era piaciuta molto all’andata, soprattutto per il senso di pace che si percepiva. Stavolta notiamo qualcosa che ci era scappata all’andata, ovvero che la strada è disseminata di piccole cavallette che saltellano sull’asfalto.

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Molte purtroppo sono state schiacciate dalle auto in transito, ma ce ne sono davvero tante e mi diletto ad osservarle da vicino. Torniamo al curvone dell’Hotel Odessa già visto all’andata e si riparte in discesa, una lunghissima discesa che ci porterà fino ad Elbasan, passando prima per Prrenjas, dove ritroviamo i numerosi LAVAZH in cui si lavano imponenti autocarri, e in uno dei quali iniziamo il nostro piccolo viaggio a tappe tra le fontane albanesi. Ce ne piace particolarmente una con una vasca centrale e due laterali, sormontata da una copertura ottagonale in legno. Ripassiamo per le tetre torri di una probabile miniera a cielo aperto, ci fermiamo di nuovo ad una fontana piena di angurie al fresco, davanti alla quale si trova un monumento in marmo a forma di stella con bassorilievi sul tema della resistenza albanese durante la Seconda Guerra Mondiale. Avvistiamo lungo il percorso uno dei celebri bunker del periodo di Enver Hoxha, ci fermiamo ancora presso un’affollata fontana accanto ad chiosco di generi alimentari vari, dove socializziamo brevemente con la popolazione locale, che apprezza molto le nostre biciclette con eloquenti gesti di approvazione.

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La necessità delle numerose soste-fontana è certificata dal fatto che toccando il titanio del telaio esposto al sole, questo è letteralmente rovente. Sono i giorni più caldi del viaggio, stiamo ritornando a bassa quota dopo le zone collinari della Macedonia, e le temperature sono qualcosa che raramente ho sperimentato in passato. Con il passare dei km la discesa è sempre meno pronunciata e ripercorriamo la lunga valle del fiume Shkumbin, che nei pressi di Elbasan è praticamente pianeggiante.

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Il caldo è tale che l’acqua della borraccia è caldissima e praticamente imbevibile, e infatti la utilizzo solo per buttarmela sulla testa attraverso le feritoie del casco; non rinfresca più di tanto ma è sempre acqua. Ogni tanto ci siamo fermati all’ombra semplicemente per avere per qualche minuto di refrigerio. Non nascondo che ad un certo punto ho temuto veramente che avremmo avuto qualche problema, ma fortunatamente tutto passa liscio e arriviamo ad Elbasan, tornando nel bellissimo albergo dove avevamo alloggiato la settimana precedente. Il trucco è l’umidità, che era evidemtemente molto bassa. Però io ho visto con i miei occhi che il termometro del ciclocomputer dava 48°C. Chiaramente non era quella la temperatura dell’aria, perchè il termometro era spesso esposto al sole durante la marcia per cui la misura non è corretta, ma fatto sta che qualcosa sulla mia testa sarà sicuramente arrivato a 48 gradi, dato che il casco era anche più esposto al sole del termometro.
Ad Elbasan non possiamo assolutamente mancare il gelato alla gelateria Monte Bianco, quella della signora che, la settimana prima, ci voleva regalare i gelati perchè non aveva il resto. Questa volta c’è il titolare, che a differenza della signora parla benissimo italiano in quanto ha vissuto per diversi anni a Torino per imparare l’arte della pasticceria.
Ci intratteniamo quindi in una interessante conversazione nella quale il pasticcere ci racconta la storia della sua vita, di come la sua famiglia fu fortemente penalizzata dal regime di Hoxha che espropriò molti beni, del periodo torinese (da cui il nome della gelateria) e altre vicende legate al suo passato. Ci siamo astenuti dallo svelare che la sua dipendente voleva regalarci i gelati.
Tornare a distanza di una settimana nello stesso posto fa uno strano effetto e ti sembra di conoscerlo anche se l’hai visto per 10 ore in tutto nella tua vita, ed è una piacevole sensazione. Ripercorriamo il centro storico addentrandoci in qualche via meno frequentata, per concludere la serata nello stesso ristorante dei quattro gatti. Si mangiava troppo bene per avere voglia di sperimentare altro, e dopo le fatiche della giornata un po’ di pigrizia mentale ci spinge a tornare sui piatti rassicuranti del Real Scampis. Elbasan ci ha lasciato in fondo un po’ di voglia di tornarci.

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Il giorno dopo è dedicato alla visita di Tirana. Originariamente il percorso prevedeva di arrivarci in bicicletta, ma in mezzo tra Elbasan e la capitale c’è una collina e una lunga salita. Non avevamo tanta voglia di faticare ancora e sentivamo il bisogno di un altro giorno di pausa, per cui decidiamo di andarci con il bus dei pendolari.


 

 20 Luglio 2015 – Visita a Tirana 
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Giorno dedicato alla visita della capitale. Non si può dire che Tirana sia una città particolarmente bella, e questo ce lo aspettavamo, ma non si può andare in Albania senza visitare Tirana. Il viaggio da Elbasan in bus dura circa 45 minuti di cui una ventina in autostrada e il resto su una strada scassata e tutta curve che si inerpica un po’ anche in collina, nel tratto non ancora completato dell’autostrada. A metà circa del percorso autostradale il bus si ferma. Ci chiediamo quale sia la ragione: guasto al motore ? ruota a terra ? qualcuno che deve andare urgentemente in bagno ? il mistero si risolve in breve. Sull’altra corsia è fermo un altro bus della stessa compagnia di trasporti, dal quale scende un giovane che, come se niente fosse, attraversa l’autostrada a piedi, scavalca il massiccio spartitraffico di cemento comprensivo di aiuola, attraversa la carreggiata in cui siamo fermi noi e sale sul nostro bus.

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Un viaggiatore che aveva cambiato idea ? No, semplicemente il “bigliettaio”. Ovviamente non ha nessun segno distintivo, divisa o tesserino di alcun genere, e una volta salito sul nostro bus passa nel corridoio centrale a far pagare il “biglietto”. Ovviamente non c’è nessun biglietto, prende semplicemente l’obolo e intasca. I passeggeri, che immaginiamo frequentatori abituali, non fanno una piega per cui evidentemente è tutto normale.
Arriviamo a Tirana che si presenta tutto sommato bene, per strada c’è tanta gente e il traffico non è neanche eccessivamente caotico.
Avvicinandoci al centro si vedono alcune grandi targhe celebrative dei 100 anni di indipendenza dell’Albania, la cui ricorrenza è stata nel 2012, con la bella aquila bifronte in campo rosso della bandiera nazionale.
Anche qui non mancano gli incontri interessanti. Il primo, per quanto poco significativo dal punto di vista della comunicazione, è con la signora che gestisce uno degli innumerevoli chioschi di souvenir. Vogliamo portare qualche ricordo a casa, per cui ci infiliamo in uno di questi chioschi dove la signora ci presenta la mercanzia, fatta di mille cianfrusaglie a volte di dubbio gusto. La signora ci dà l’impressione di essere una brava donna che sbarca il lunario per cui qualcosa cerchiamo di trovarla. Alla fine usciamo con due magliette rosse con l’aquila della bandiera, qualche calamitina da attaccare al frigorifero e poco altro. Vorremmo acquistare dei CD di musica tradizionale, la signora non ne ha ma ci spiega dove trovarli. La salutiamo e ci incamminiamo; in un primo momento non troviamo il “negozio” che ci aveva in qualche modo indicato, e io stesso comincio ad avere qualche dubbio sul fatto che ci si fosse capiti reciprocamente (lei cosa volevamo noi, e noi cosa ci aveva spiegato lei). Ma girando un po’ lungo la strada dove doveva essere il negozio, scopriamo finalmente il posto giusto.
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Chiamarlo negozio è un po’ azzardato: trattasi di una specie di sgabuzzino ricavato forse nell’androne di un palazzo, un cunicolo stretto alla fine del quale c’è una scala che porta ai piani superiori, con una bicicletta parcheggiata dentro, poster di cantanti neomelodici albanesi di chiara fama alle pareti e una vasta scelta di CD di ogni genere di musica locale, dal folk tradizionale più arcaico a quello più rockeggiante, fino ai suddetti neomelodici albanesi, che fanno il paio con i neomelodici balcanici ascoltati in varie occasioni nei giorni precedenti in Macedonia. Il negozio è gestito da due signori di mezza età che ci accolgono molto cordialmente, ovviamente in italiano. Ci chiedono che tipo di musica cerchiamo e si prodigano quindi per farci ascoltare alcuni brani da vari CD scelti dai forniti raccoglitori presenti lungo la parete dello sgabuzzino.

Infatti non si compra a scatola chiusa: lo sgabuzzino è fornito di impianto stereo attraverso il quale si può verificare se il disco sia di proprio gusto, insomma una cosa da intenditori. Successivamente si scopre che uno dei due gestori in realtà è il venditore di angurie titolare del carrettino parcheggiato sul marciapiede davanti alla porta dello sgabuzzino, e che aiuta l’amico a vendere dischi (immagino che il venditore di dischi aiuti l’amico a vendere angurie). Ci raccontano anche loro di trascorsi lavorativi italiani e di aneddoti vari vissuti nel nostro Paese.

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Dopo aver fatto una congrua spesa musicale salutiamo e usciamo (un po’ mi pento di non aver preso almeno un disco di un neomelodico albanese). Ripassiamo davanti al chiosco di souvenir della signora e la salutiamo mostrando i dischi appena acquistati, lei ricambia il saluto mostrando evidente soddisfazione per averci fatto trovare ciò che cercavamo. Proseguiamo la nostra visita passando davanti all’Istituto Italiano di Cultura, la moschea detta Ethem Bey, il teatro dell’opera e il Museo Nazionale di Storia, il cui ingresso è sormontato da un grande mosaico che rappresenta personaggi simboleggianti il popolo albanese nella storia, dagli antichi guerrieri illirici ai partigiani della seconda guerra mondiale, lavoratori e intellettuali, donne e uomini, che attraversano fieramente i secoli.

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Fa caldo. Tante fontane ci sono in giro per l’Albania, quante non ce ne sono a Tirana. Nessuna traccia per le strade, nessuna traccia in un giardino pubblico incontrato in tarda mattinata, nessuna traccia nella grande piazza Skanderberg, quella del museo di storia, intitolata all’eroe nazionale albanese Giorgio Castriota Skanderberg vissuto nel 1400. Una parte della piazza è circondata dai palazzi governativi.
Cerchiamo da mangiare e ci fermiamo in un piccolo localino con tavoli all’esterno dove mangiamo qualcosa e la signora che lo gestisce ci accoglie sempre in perfetto italiano e ci lava anche la frutta che avevamo comprato all’arrivo in città.
Il seguito della passeggiata ci porta in un grande giardino pubblico dove cerchiamo un po’ di ombra e di tregua dalla calura. Maggior successo hanno, da questo punto di vista, alcuni ragazzini che fanno il bagno rumorosamente nella vasca antistante un elegante locale-bar-ritrovo, dal quale ogni tanto esce un cameriere che li minaccia di qualcosa se non se ne vanno, ma loro dopo due minuti sono di nuovo nell’acqua. Alla fine il cameriere li insegue per cui lasciano il campo, ma ormai il bagno che volevano fare l’hanno fatto. A dire il vero, cercando il luogo sulla mappa di Tirana risulta che la grande vasca si chiama “Pishina Taiwan”, per cui non si capisce perchè i ragazzini non potessero fare il bagno, a meno che “pishina” in realtà non sia veramente una piscina. Seguiamo il viale che costeggia il giardino e scorgiamo un altro luogo saliente della capitale albanese, la cosiddetta Piramide di Tirana, un vecchio museo intitolato ad Enver Hoxha ormai chiuso e adesso utilizzato come sede di una stazione televisiva e radiofonica. L’edificio è di notevole bruttezza, oltre ad essere un po’ malmesso. Proseguiamo quindi fino ad una zona molto bella in cui si trovano il Palazzo dei Congressi e la piazza Madre Teresa, con i palazzi dell’università. E’ ormai ora di tornare e la stazione dei bus non è lontana, manca solo un breve tratto da percorrere costeggiando le mura esterne dello stadio il cui squallore stride con il bianco delle colonne attorno alla piazza dell’università e torniamo al bus. Durante il viaggio di ritorno a Elbasan non ci sarà la sosta-bigliettaio, ma avvisteremo due persone a piedi lungo l’autostrada; del resto noi l’abbiamo fatta in bicicletta, per cui di cosa ci meravigliamo ?
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 21 Luglio 2015 

Oggi si prospetta una giornata facile: tutta discesa (salvo qualche brevissimo strappetto in salita) da Elbasan fino all’innesto con la strada che arriva da Durazzo, lungo la valle dello Shkumbin che abbiamo percorso in senso inverso il primo giorno. A Rrogozhine si prosegue in pianura verso sud direzione Lushnje, Ura Vajgurore e infine Berat. 100km in cui l’unico ostacolo sarà il caldo, per il resto nessuna difficoltà.

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Facciamo una prima sosta “tecnica” ad un distributore di benzina, e nei pochi minuti in cui ci fermiamo siamo attorniati dai vari personaggi che gravitano attorno alle pompe (benzinai, amici dei benzinai e automobilisti di passaggio) incuriositi dalle nostre biciclette cariche. Doverosa descrizione del percorso e poi via, di nuovo in strada. Niente di particolare da rilevare, la strada ormai la conosciamo, anche se fatta in senso inverso; ripercorriamo i nomi delle località già viste giorni fa. Altra sosta a Rrogozhine, cittadina in prossimità dell’innesto con la strada che arrivava da Durazzo, che lasciammo per deviare verso Elbasan, e che adesso riprenderemo per continuare da dove avevamo lasciato. Ci fermiamo su un largo marciapiede e tiriamo fuori le nostre vettovaglie. La ormai lunga esperienza di viaggi ci ha insegnato come alimentarci in modo sano e senza appesantirci. Il giorno prima compriamo del pane e qualcosa da metterci dentro, in genere formaggio. La fame “condisce” il tutto, e il nostro panino imbottito è sempre buonissimo. Ultima evoluzione, un pomodoro da tagliare a pezzi e infilare nel panino per ammorbidirlo e renderlo meno asciutto. E’ tutta mercanzia da portarsi appresso, non pesante ma un po’ ingombrante a volte si, però è benzina che ci permette di viaggiare tranquillamente per tanti km e infinitamente più buona di qualsiasi barretta energetica. La regola è mangiare con regolarità, porzioni piccole per non appesantirsi e fermandosi prima di sentire la fame. Mentre ci gustiamo il panino arriva una donna con un paio di bambini dall’aspetto zingaresco, che “apparecchiano” un negozio di abbigliamento sul marciapiede. “Negozio” è chiaramente un eufemismo: tirano fuori da dei grossi sacchi di tela una montagna di maglie, magliette, indumenti intimi e roba varia di tutti i generi e colori. Sparpagliano la massa informe sul marciapiede e nel giro di pochissimo si raccoglie un gruppo di clienti che rivoltano il mucchio alla ricerca di qualcosa di proprio gusto.

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Il baratto fa parte del business. Da una casa escono due ragazze che portano a loro volta indumenti (presumibilmente usati) che finiranno nel mucchio insieme agli altri.
Bikermary si intrattiene con uno dei ragazzini al seguito della signora, che era rimasto affascinato dalle nostre biciclette parcheggiate sul marciapiede. E’ un ragazzino pulito e un po’ malinconico che fa molta tenerezza alla mia compagna di viaggio, la quale gli regala una monetina da 1€ che lui prontamente va a portare alla madre. Nel frattempo arrivano altri ragazzini ancora più zingareschi che gravitavano nei dintorni i quali, presi dall’entusiasmo per l’elargizione di Bikermary, ci alleggeriscono ulteriormente di moneta sonante, per poi andare a rovistare nel cassonetto e recuperare un paio di scarpe vecchie che erano state scartate anche dalla signora del “negozio” perchè troppo malridotte anche per lei.
Finito il nostro pranzo lasciamo il mercato alle sue attività e riprendiamo la strada. Il tempo passa e ci inoltriamo nel primo pomeriggio, le ore più calde della giornata. L’asfalto è nuovo, nerissimo e sicuramente caldissimo. E’ un’altra giornata da acqua bollente nella borraccia. Verso le 13 ci fermiamo per una seconda sosta-pranzo. Siamo in una zona di case sparse, non c’è un vero e proprio centro abitato e bisogna trovare un posto all’ombra da qualche parte. Raggiungiamo una palazzina a due piani con una specie di giardinetto all’ombra che sembra fatto apposta.

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Dalla casa non viene segno di vita, per quanto diverse finestre con le tende in vista lascino chiaramente intuire che qualcuno ci abiti. C’è anche un’auto parcheggiata (ovviamente una Mercedes), quindi qualcuno in casa ci sarà. Il giardino è dotato di alcune sedie e un tavolo. Al centro c’è una specie di fontana asciutta con una vasca a forma di fiore, e tutto attorno ci sono delle belle palme. La casa ha i muri con i mattoni a vista, non si capisce se sia un effetto estetico voluto o se sia ancora da completare. Ad alimentare il dubbio un grosso mucchio di terra da una parte, tipico di un cantiere. E’ tutto all’ombra, compreso il posto per le bici, ci sono sedie e tavoli, che altro vogliamo ? Si, in effetti potrebbe essere casa di qualcuno, ma non ci sono recinzioni nè altri ostacoli, non c’è nessuno in giro, e se c’è dorme. Sarà che il viaggiatore in bici regredisce (o forse progredisce ?) spesso allo stato brado, ma in queste occasioni si fanno cose che normalmente non si farebbero. Decidiamo quindi che il posto ci piace e ci accomodiamo sulle sedie da giardino verdi, nuove e pulite. Poi se dovesse arrivare qualcuno gli spiegheremo come mai siamo seduti a mangiare nel giardino di casa sua.

Tiriamo fuori i panini e ci godiamo l’ombra. Non che faccia fresco, anzi. Un’occhiata al termometro del ciclocomputer per scoprire che indica 40°C. Stavolta sono veri, il termometro è all’ombra da 20 minuti, ma si sta benissimo. In breve tempo abbiamo compagnia. Prima arriva un folto gruppo di galline di tutte le misure, che si affaccia dal retro e in breve popola il giardino venendo a mangiare mollichine e pezzetti di pane sotto le nostre sedie.

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Sono galline bianche, gialle, nere; galline mature e pollastri di aspetto giovanile, alcuni poco più che pulcini in gruppo dietro la chioccia madre. Ci intratteniamo quindi ad osservare la fauna che si infila dappertutto alla ricerca di qualcosa da mangiare.
Poco dopo arriva una macchina (la marca la sapete già). Pensiamo siano i padroni di casa, invece scendono due giovani che si siedono all’altro tavolo, aprono una birra e se la bevono. Chiacchierano dieci minuti poi salutano e se ne vanno. Evidentemente non siamo i soli ad esserci trovati bene.
La sosta si prolunga e siamo indecisi se affrontare la calura del primo pomeriggio e arrivare prima a destinazione, o attendere che il caldo diminuisca, ma col rischio di fare un po’ tardi. Non temiamo più di tanto problemi di alloggio perchè Berat è una località turistica molto rinomata, quanto di non avere il tempo di girare un po’ prima che faccia buio. D’altro canto 40 gradi sono 40 gradi. Dopo circa un’ora di sosta decidiamo di affrontare l’asfalto bollente e riprendiamo la marcia. Come il giorno prima, nonostante le temperature un po’ estreme, non abbiamo alcun problema. Anche oggi il trucco è la pochissima umidità nell’aria, che non fa patire eccessivamente il caldo se siamo in movimento. Non molto distante da Berat troviamo una grande e provvidenziale fontana di acqua abbastanza fresca dove ricaricare tutte le riserve idriche e sciacquariarci copiosamente. Dopo 40 minuti siamo a destinazione.

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L’impatto con la città è abbastanza duro. Prima di arrivare nella zona del quartiere antico di Mangalem, patrimonio dell’UNESCO con le famose case bianche sulle pendici delle colline che circondano il fiume Osum, si attraversa la prima periferia moderna che si può annoverare tra i posti più squallidi mai visti nei miei viaggi. Nel pomeriggio avremo modo di girare un po’ nella zona centrale, anch’essa moderna, certo non lussuosa ma non così brutta. Arrivati in centro siamo accalappiati da un ragazzino che si propone come affittacamere. Siamo poco convinti, anche un po’ stanchi, e onestamente preferiremmo un albergo con tutti i crismi, ma un po’ per la sua insistenza, un po’ perchè pensiamo che tutto sommato qualche soldo sia meglio darlo alla sua famiglia che ad un hotel, ci facciamo guidare. Già la casa è in un posto scomodo, ma una breve occhiata all’interno onestamente ci scoraggia. E’ vero che dopo 100km siamo allo stato brado, ma un minimo di comfort ancora ci fa piacere. Decliniamo l’invito ma nel frattempo è arrivato un altro affittacamere, un anziano signore conoscente del ragazzino, che agguanta una bici – a suo modo per aiutarci – e ci porta, in modo abbastanza insistente, verso casa sua. Di nuovo salita su marciapiedi sconnessi, il tipo ha la sua età ma è rapido. Decidiamo che è meglio un albergo ma sarà necessario imporsi con decisione per fargli mollare la bicicletta. Ci avviamo quindi verso un hotel nelle vicinanze, che si rivelerà una buona soluzione, anche se un po’ ci dispiace per il ragazzino e l’anziano signore che alla fine cercano di racimolare qualche soldo per mangiare.
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Dopo la doccia usciamo a gironzolare nel quartiere di Mangalem intrufolandoci nelle strette viuzze tra le case bianche. E’ un posto veramente pittoresco e merità di essere visitato. Vagando qua e là arriviamo all’ingresso di un cortile di quello che sembra un monastero, o qualcosa del genere. Mentre sbirciamo all’interno arriva un signore sulla sessantina, con una specie di camice blu da metalmeccanico, che ci fa cenno di entrare e ci fa da guida spiegandoci gli affreschi, le icone e gli arredi sacri all’interno. Parla in albanese ma qualcosa si capisce (o almeno così ci sembra) e lui appare contentissimo di poterci illustrare le meraviglie del suo piccolo regno. A fine visita si farà una foto con Bikermary e la sua soddisfazione immortalata nell’immagine è evidente.
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Proseguiamo il giro fino ad una specie di estemporaneo mercato della verdura nei pressi del ponte sul fiume e poi nella zona moderna della città. In un negozio di alimentari che vende “SALLAME DHE PROSHUTA” compriamo qualche cibaria per il giorno dopo e facciamo la conoscenza del titolare che molto cordialmente ci spiega prima come arrivare domani alla nostra destinazione, e successivamente ci indica un buon ristorante dove cenare. Ristorante che nonostante la lunga ricerca e varie richieste di informazioni a più persone, non si troverà. Ne troviamo un altro in cui il cuoco siciliano ci accoglie come ospiti d’onore e ci prepara alcuni piatti di cucina locale, che accompagnamo ad una bella porzione di pasta alla Norma tipicamente sicula.



 22 Luglio 2015 

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Facciamo colazione nella grande sala da pranzo dell’albergo arredata in modo diciamo “austero”. Recuperiamo le biciclette lasciate accanto ad una scala nella grande hall, un ampio salone con il pavimento lucidissimo che si potrebbe giocare a hockey su marmo. Quando ripartiamo non sono neanche le 9 del mattino e fa già caldo. Le poche nuvolette rosa fotografatte appena svegli sono già sparite; facciamo una pausa nel giardinetto pubblico lungo la strada per riempire le borracce di acqua fresca e ripercorriamo la strada che ci porta alla prima squallidissima periferia di Berat, per poi tornare sui nostri passi del giorno prima. I primi 15km di oggi sono gli ultimi di ieri in senso inverso e dopo il bivio per Fier ci attende una breve ma impegnativa salita di 2km in cima alla quale c’è un monumento celebrativo alle brigate partigiane di Berat nella Seconda Guerra Mondiale. Non è il primo monumento di questo genere che troviamo, la memoria della resistenza albanese contro l’invasore nazifascista è spesso rappresentata.

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La successiva discesa ci porta nella pianura posta sul confine tra le contee di Berat e Fier. Il paesaggio è decisamente brullo, vasti campi all’apparenza incolti, erbacce altre un metro a bordo strada, case mezze finite e mezze no, vecchi cartelli stradali arrugginiti.
Dopo il monumento ai partigiani passiamo davanti al monumento al nonsenso. A distanza si scorge la sagoma di una nave. E’ corta e tozza, un po’ troppo alta per la sua lunghezza, ma sembra decisamente una nave bianca e azzurra. Siamo ad almeno 50km dal mare ma quella è una nave. Ci avviciniamo rapidamente e la nave parcheggiata a bordo strada si rivela per quello che è: un bar a forma di nave. Una costruzione in muratura di tre piani che riproduce abbastanza fedelmente un traghetto, simile a quelli che ho visto mille volte sullo Stretto di Messina. Se certe costruzioni viste in giro per le campagne albanesi erano di gusto un po’ discutibile, questa le supera tutte; non c’è partita, vince a mani basse su qualunque cosa.
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Ci fermiamo poco dopo a rifocillarci nell’abitato di Roskovec, sostando davanti a dei negozi senza porte e senza vetrina, delle stanze aperte sulla strada con un bancone e poco altro. Uno sembra un riparatore TV, sul bancone ci sono dei televisori a tubo catodico. Un tuffo nel recente passato tecnologico che sembra lontano decenni ma sono solo pochi anni, prima che gli schermi piatti facessero sparire le “vecchie” TV di una volta. Su uno scaffale ci sono cavi aggrovigliati, scatole di ricambi elettronici e svariati altoparlanti. Il tutto totalmente incustodito e praticamente all’aperto. L’altro “negozio” è probabilmente una macelleria. Mattonelle alle pareti, un grosso banco frigo con un marchio di gelati, l’asciugamano rosa appesa al muro, una massiccia bilancia meccanica a due piatti con dei grossi pesi allineati sul tavolo coperto dalla tipica cerata della cucina della nonna negli anni ’70. Vicino alla parete una impalcatura con dei grossi ganci per appenderci i quarti di bue. Al centro della stanza un grosso ceppo di legno su tre gambe, e sul tavolo alcuni coltellacci e una enorme mannaia da macellaio. Il tutto sempre perfettamente alla portata del primo che passa. Non c’è la minima traccia di mezza fettina di vitello, è tutto (abbastanza) pulito e pronto per l’uso.
Finiti i panini proseguiamo verso Fier. Questa è una zona di estrazione del petrolio: non ho visto i classici pozzi con le trivelle che avevo notato in diverse fotografie trovate in rete prima di partire, ma sono numerose le grandi cisterne nere di stoccaggio del greggio e in un tratto di strada c’è una lunga fila di autocisterne gialle parcheggiate. La strada è perfettamente asfaltata e si viaggia abbastanza spediti. A Fier ci fermiamo per decidere cosa fare. Il programma prevede di arrivare a Valona ma valutiamo se deviare poco dopo Fier e prendere la strada per Gjirokaster per accorciare la tappa del giorno dopo, che è decisamente troppo lunga da affrontare con quel caldo. Il problema è che non sappiamo se ci sia o meno un posto per dormire prima di Gjirokaster. Ci fermiamo a Fier per rilassarci un po’ e fare il punto della situazione. Potremmo anche dormire a Fier ma non si accorcerebbe più di tanto la tappa successiva.

Parcheggiamo le bici davanti ad un negozio di idrosanitari il cui personale ci darà molto gentilmente diverse informazioni e la possibilità di consultare internet per fare un po’ di conti su google maps e decidere cosa fare. Alla fine, dopo una (troppo) lunga sosta decidiamo di proseguire fino a Valona e domani si vedrà. L’ultimo tratto di strada sarà percorso in grande solitudine, quasi sempre le nostre due bici e nessuno attorno. Abbiamo la possibilità di vedere da vicinissimo uno dei bunker dell’era Hoxha che fino ad ora avevamo avvistato sempre a distanza.
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Un lungo viale alberato e una breve salita, in cima alla quale c’è un grande mosaico celebrativo della storia albanese, molto simile a quello che si trova a Tirana sulla facciata del museo storico nazionale.
La discesa ci porta velocemente a Valona (Vlora), lungo il vialone principale circondato da grandi palazzoni e dove ogni rotonda esibisce orgogliosamente una grande aquila bifronte nera in metallo per celebrare i 100 anni di indipendenza dell’Albania dall’impero ottomano, proclamata proprio a Valona nel 1912.

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Valona è inserita in un contesto naturale piacevole, con il profondo golfo delimitato dalla penisola lunga e stretta proprio di fronte alla città e la costa montuosa che porta fino a Saranda, ma la breve esperienza maturata gironzolando nel tardo pomeriggio e la sera non ci ha lasciato il ricordo di una bella città.
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Dopo esserci rinfrescati in albergo maturiamo la decisione di terminare il viaggio. Fa veramente troppo caldo per fare domani 120km in mezzo al nulla. Già la salita per tornare sulla strada che inizialmente porta a Fier per riprendere il bivio per la SH4 ci scoraggia. Si pone quindi il problema di come tornare a casa. Da Valona partono traghetti per Brindisi, mentre noi abbiamo la macchina a Bari e l’arrivo a Brindisi è nel tardo pomeriggio. Decidiamo quindi di tornare a Durazzo e prendere il traghetto per Bari, che dal punto di vista logistico è la soluzione migliore. A Durazzo potremmo tornare in bici, rifacendo a ritroso vari tratti di strada già percorsi. Sono anche questi 120km ma non sarebbero in mezzo al nulla. Oppure in treno, ammesso che esistano. Il giorno dopo a Durazzo, durante la visita della città passiamo anche dalla surreale stazione ferroviaria dove il cartellone degli orari ci conferma che i tempi di percorrenza in treno non sono molto diversi da quelli in bicicletta. Terza possibilità un trasporto motorizzato. Non ci è chiaro come, ma sappiamo che dove i trasporti pubblici sono carenti c’è sempre un’alternativa privata con bus, pullmini, furgoncini e cose del genere. Troviamo un’agenzia viaggi dove ci indirizzano verso una non meglio specificata “stazione dei pullman” (anche se in effetti non hanno usato questo termine) alla fine di una strada che inizia da una vicina piazza centrale dove domani troveremo sicuramente un mezzo per andare a Durazzo. E’ tutto abbastanza vago e imprecisato, ma è meglio del tassista che insisteva per caricare su una berlina (ovviamente Mercedes) noi e le due biciclette, forse fatte a pezzetti nel bagagliaio, unica maniera di farcele stare in quel tipo di auto. Decidiamo di andare in avanscoperta per trovare questa “stazione dei pullman” incamminandoci sulla via indicata. Man mano che ci allontaniamo dalla piazza (e parliamo di 1km scarso) si passa dalla folla vociante di una città turistica in pieno centro alla varia umanità che sbarca il lunario in qualche modo e tira a campare in una zona se non degradata, decisamente poco “in” della città. Alla fine della strada ovviamente non c’è nessuna stazione degli autobus e niente che possa fare minimamente pensare che ce ne sia una nelle vicinanze. C’è un bar con alcuni avventori che chiacchierano seduti ai tavolini di un terrazzino, ai quali chiediamo informazioni su questa fantomatica stazione ed in generale su come tornare a Durazzo. La stazione non la conosce nessuno ma non c’è problema. C’è l’amico del barista che ha un amico col furgone che ci porta a Durazzo, pensa a tutto lui e domani mattina alle 9:30 si parte, tranquillo. Ci scambiamo il numero di telefono e stasera sicuro che ti chiamo e ti confermo. Parlano italiano, naturalmente. Naturalmente la sera non chiama nessuno, ma in compenso tornando verso l’albergo troviamo sulla strada sgarrupata una bella pescheria che sopra ha un ristorante dove si mangia un buonissimo pesce fresco, simbolico premio per tutte le fatiche del viaggio.


 

 23 Luglio 2015 – Trasferimento a Durres, visita a Durres 

La mattina dopo, nonostante il dubbio che tutti si siano scordati degli accordi presi (per quanto labili e molto informali) sia forte, ci presentiamo all’appuntamento. La persona con cui abbiamo parlato il giorno prima c’è, ed è già un buon segno. Ci fanno accomodare al bar e attendiamo l’amico attrezzato di adeguato mezzo meccanico. Il primo che si presenta ha una Mercedes uguale a quella del tassista del giorno prima. Gli facciamo notare che le biciclette non ci staranno mai su quella macchina e desiste, questo almeno senza insistere come aveva fatto il tassista. Il tempo passa e non vediamo soluzione, ma “tranquillo che arriva un altro mio amico e sistemiamo tutto”. Il viaggiatore si fida spesso delle persone che incontra, un po’ perchè è ben disposto a conoscere il prossimo, un po’ perchè a volte o così o arrangiati. Finalmente arriva un personaggio col furgoncino di una ditta italiana che fa lavori di manutenzione di non so cosa, ed è perfettamente adatto allo scopo: ci stanno comodamente le bici, i bagagli e noi seduti davanti.

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Ok affare fatto, ci accordiamo sulla cifra da dargli (troppo col senno di poi), carichiamo e partiamo. Ripercorriamo tanti luoghi visti nei giorni scorsi vedendoli da una prospettiva diversa. Facciamo un pezzo di autostrada, attraversiamo varie città già viste e abbiamo modo di compiacerci per la guida “sportiva” del personaggio, un signore di mezza età un po’ invecchiato dal mestiere sicuramente non da grande manager, ma alla fine arriviamo sani e salvi a Durazzo. E’ ancora abbastanza presto per cui c’è tutto il tempo, dopo aver acquistato i biglietti del traghetto, di fare una approfondita visita della città che ci piacerà molto.

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Incontri della giornata: un giovane che parla italiamo molto meglio di tanti italiani e che ci accompagna nel negozio di musica di un amico per acquistare la Ciftelia, strumento musicale tradizionale dell’area balcanica, da me fino ad ora volgarmente chiamata “chitarrina albanese”, che volevo assolutamente portare a casa come souvenir. Vidi per la prima volta la suddetta chitarrina a Bari, sulle spalle di un giovane che tornava presumibilmente da un viaggio nel paese delle aquile, durante l’estenuante attesa del bus che mi doveva portare a Messina dopo il primo viaggio balcanico del 2007, e me ne innamorai immediatamente (della chitarrina).
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Nel negozio c’è una discreta scelta di chitarrine di tutte le misure e l’acquisto viene perfezionato insieme all’omaggio di un ulteriore CD di musica tradizionale locale che si aggiunge alla collezione. Riparto quindi anch’io con la mia chitarrina albanese a tracolla, felice come un bambino.

Gironzolando per la città arriviamo alla stazione ferroviaria. Non ci serve un treno, ma la curiosità ci spinge ad entrare. Uniche presenze: noi due e un tizio in canottiera seduto su una sedia di legno. Si unirà poco dopo un ratto magro e lungo che sparisce poco dopo tra i binari. Un solo treno su un binario laterale, nessun annuncio, nessun viaggiatore in attesa.

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Un allegro cartellone pubblicitario delle ferrovie albanesi rappresenta una giovane fanciulla con un ombrellino per ripararsi dal sole, i capelli scompigliati dal vento al passaggio di un treno. La spensierata immagine fa un po’ a pugni con il cartello degli orari, dove la cruda realtà dei numeri mostra che per coprire i 120km tra Durazzo e Valona ci vogliono poco meno di 5 ore.
Davanti alla stazione c’è un grande piazzale dove sono parcheggiati numerosi bus per il trasporto locale, tra cui sicuramente ce ne sarà stato uno che partiva da Valona. Alcuni giovani annunciano l’imminente partenza del bus per Tirana con una litania monocorde “Tirona Tirona Tirona Tirò”.
Proseguendo il nostro gironzolare passiamo per una pasticceria dall’aspetto un po’ anni ’70-80, dove sono esposti numerosi dolci dall’aspetto invitante. Purtroppo la maggior parte è a base di crema e panna e non sopravviverebbe alla calura e al successivo viaggio in traghetto, per cui decidiamo di accontentarci di piccola pasticceria secca da portare a casa, che non è male, ma i gelati sono molto meglio.

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Prendiamo quindi una strada un po’ fuori mano e la sorte ci conduce in un grande mercato di frutta e verdura. Non ci servono nè melanzane nè pomodori, ma la mercanzia coloratissima è molto invitante e a turno facciamo un giro all’interno. Io entro con la macchina fotografica in mano, perchè a me è sempre piaciuto fotografare la verdura, un po’ timidamente perchè mi rendo conto che uno vestito da ciclista che fotografa la verdura può non fare una bella impressione.
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L’incertezza dura un paio di minuti, perchè i vari esercenti del mercato faranno quasi a gara per farsi fotografare davanti a montagne di ciliege, cumuli di uva, casse di patate, cavolfiori e lattughe, chiamandomi da un angolo all’altro in una allegra caciara.

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Altro incontro, nel tardo pomeriggio, davanti alla cattedrale ortodossa dei santi Paolo e Asteio, con il bambino Odein, o meglio con la giovane mamma del bambino Odein e la giovanile nonna del bambino Odein. Il bambino Odein ha circa un anno, fa delle facce simpaticissime e sui piedini nudi c’è scritto “fatemi il solletico”. La mamma del bambino Odein parla italiano e ci intratteniamo un po’ a chiacchierare, perchè il viaggiatore in bici stimola sempre la conversazione. Nel frattempo il bambino Odein fa le sue facce e i sui versi simpaticissimi.
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Prima di prendere il traghetto ceniamo velocemente e gustiamo l’ultimo buonissimo gelato albanese, poi ci imbarchiamo sulla nave che ci riporterà sul suolo patrio. L’Albania ci è piaciuta moltissimo e abbiamo già deciso che ci torneremo. Lo sapevo io che avevo ragione ad andarci, alla faccia del motociclista tedesco incontrato in Montenegro che “al massimo si va a 30 all’ora” (le strade sono state sempre in condizioni più che buone).

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