15 Luglio 2015 

Una colazione non particolarmente ricca ci attende al risveglio di Kavadartsi: l’hotel ha un ampio giardino con tavolini all’esterno dove abbiamo cenato la sera prima, che fa da bar per avventori anche occasionali oltre che per i propri ospiti, ma decisamente non è attrezzato per le necessità di chi ha davanti 100km e un po’ di salita da fare. Oggi le asperità che ci attendono sono relativamente facili dal punto di vista altimetrico e i problemi non verranno dalla pendenza della salita, che dovrebbe essere in totale circa 6-7km divisi in due tronconi. Ma andiamo con ordine. Dopo la modesta colazione si parte e per fortuna per prima cosa ci sono 6km in discesa fino a Rosoman, il posto delle pesche di cui parlavano i camionisti del giorno prima. E infatti appena arrivati in zona un trattore con il rimorchio pieno di cassette di pesche ci intercetta facendoci segno di accostare. Sono in cinque, tre più anziani al posto di guida (uno sul sedile e due sui parafanghi…) e due più giovani appollaiati dietro sul rimorchio.
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Si fermano e ci regalano sei pesche bellissime e buonissime, come verificheremo nelle varie soste della giornata. Ricoveriamo le pesche sotto uno strato di vestiario nelle borse per tenerle se non al fresco almeno un po’ riparate e ripartiamo soddisfatti del nostro ennesimo incontro con i lavoratori del posto. La strada è molto tranquilla e viaggia in mezzo ad una pianura circondata in lontananza da gialle montagne. Dal posto delle pesche in poi ci sono quasi 40km di pianura lungo la valle del fiume Vardar che seguiremo fino a Veles. Dopo Rosoman si incontra il centro abitato di Gradsko, con il suo stradone alberato, le case sgarrupate, gli ombrelloni dei bar, il tutto dall’aspetto struggentemente yugoslavo. Passato Gradsko il fiume si fa più vicino e la strada corre costeggiata dalla parete rocciosa macchiata dal verde dei cespugli che crescono fitti a sinistra e si affaccia verso la valle a destra. Il traffico è scarso e guardando dal finestrino verso la valle si vedono a poca distanza le basse colline che la delimitano dal lato opposto al nostro, colline punteggiate di alberi ma per lo più “calve”, campi di grano gialli in basso, alternati a tratti in cui la V del profilo orografico è più vicina e pronunciata e la vegetazione è più ricca e fitta. Non ci sono case o costruzioni nei dintorni, solo la strada, noi e le piante.

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Raggiungiamo Veles, capoluogo della locale municipalità, un tempo chiamata Titov Veles dal nome di Tito, storico leader della Yugoslavia. La città si presenta abbarbicata sui due lati delle alture che circondano la valle, in due metà separate dal Vardar e unite da due ponti. Anche Veles si presenta con un aspetto molto balcanico, vecchio e nuovo mescolato e tutto un po’ scassato. Facciamo una pausa-pesca in un minuscolo giardinetto con un paio di panchine dove sostano alcuni uomimi del posto che si sono portati anche un tavolino per meglio accomodarsi. Affacciandosi verso il fiume si vede uno dei due ponti, in ferro verniciato di un discutibile azzurro.

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Seguono 5km fino al lago Mladost, dopo il quale è prevista la salita. Il lago è un piccolo specchio d’acqua in un posto tranquillo circondato da basse colline, ad una estremità del quale si trova un grande hotel con piscina gremita di una popolazione variegata e a dire il vero poco “raffinata”, almeno ad una prima impressione. Ho l’occasione di mescolarmi per qualche minuto con il pittoresco popolo a bordo piscina per chiedere un chiarimento sulla direzione da prendere ad un bivio poco distante dall’albergo, con scarso successo peraltro. Proseguiamo lasciando il popolo sciacquariante al suo destino e dopo un breve tratto iniziamo ad affrontare la salita. La strada è sempre più stretta e deserta, si sale senza fatica eccessiva ma la pendenza è intorno al 6-7% per cui bisogna pedalare. La quota massima è a circa 450m sul mare, a tratti si vede sulla destra, molto più in basso di noi, l’autostrada che ci lascia questa stradina libera, ma l’imprevisto è in agguato.

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Ad un certo punto l’asfalto lascia il posto ad un terriccio molle nel quale le nostre ruote poco più larghe di quelle di una bici da corsa affondano. Si va pianissimo e forse sarebbe meglio scendere e procedere a piedi. Anzi, senza forse: il terriccio insidioso, una specie di asfalto non ancora steso, ammassato a bordo strada in grossi mucchi ma anche sparso uniformemente sulla carreggiata, ad un certo punto blocca le ruote di Bikermary che cade praticamente da ferma. Non si fa particolarmente male ma si procura tante piccole abrasioni al braccio, al gomito e al ginocchio. La cosa è estremamente seccante ma siamo attrezzati. Memori di un’altra caduta all’inizio del viaggio verso Parigi ci siamo portati una completa mini-farmacia per interventi di emergenza. Cotone idrofilo, garza e acqua ossigenata con cui sadicamente irroro le ferite di Bikermary la quale affronta il mio intervento di medicazione con un misto di risate e gemiti di dolore per la ferocia con cui l’acqua ossigenata morde la carne viva.

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Nel frattempo arriva l’ennesimo personaggio di cui sono costellati i nostri viaggi, specie in terre un po’ selvagge come queste. Delle tre auto che abbiamo incontrato lungo questo budello di collina disperso nel nulla una è una vecchia Fiat 127 a bordo della quale c’è un uomo di mezza età vestito con una canottiera non freschissima di bucato e la moglie dall’apparenza abbastanza più giovane. Scende e si offre di aiutarci se abbiamo bisogno.
La macchie della canottiera stridono con il fluente francese con cui ci interpella, lingua comune con Bikermary che riesce quindi a intavolare una proficua comunicazione. Dato lo stato della strada ad un certo punto ci era venuto il dubbio che avessimo sbagliato per cui gli chiediamo chiarimenti sulla direzione da proseguire per arrivare a Skopje. Mentre io armeggio per tirare fuori la mappa lui con un gesto mi fa capire che la carta non serve, prende un pezzo di legno e disegna per terra la strada da seguire con precise indicazioni. Si offre anche di ospitarci per la notte se volessimo, dato che abita non lontano dal posto in cui ci troviamo. Non mancava ormai molto alla città per cui decliniamo gentilmente l’invito, ma confesso che ci è dispiaciuto un po’ perchè sarebbe stata una bella occasione per socializzare con un personaggio che si prospettava molto interessante. Ci congediamo e dopo aver completato la medicazione e avvolto la garza alle varie ferite di Bikermary riprendiamo la strada ma a piedi, accompagnando la bici senza pedalare. Il fondo è troppo molle ed è meglio evitare altri miracoli. A tratti si riesce a pedalare ma l’asfalto è molto rovinato e nella migliore delle ipotesi si va pianissimo. Non è più prestissimo, intorno alle 16 raggiungiamo una specie di rientranza della strada con una fontana dove approfittiamo per ricaricare l’acqua e mangiare qualcosa. Ormai siamo poco distanti dal prossimo centro abitato, Katlanovo, dove la strada ritorna in buono stato e una bella discesa ci porta alla prima periferia di Skopje.

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Da Katlanovo alla città vera e propria ci sono 20km quasi tutti in rettilineo. Arriviamo alle porte della città dove chiediamo informazioni infilandoci in un quartiere dall’aspetto non tanto rassicurante. Alla fine di una lunga e probabilmente inutile deviazione su uno stradone molto trafficato riusciamo a puntare verso il centro cittadino dove troviamo un hotel dove fermarci a pochi passi dalla grande centralissima piazza Macedonia, di fronte al Kamen Most (Ponte di pietra) che risale alla metà del 1400 e più volte danneggiato e ricostruito nel corso dei secoli. Prima di trovare l’hotel abbiamo la possibilità di apprezzare brevemente la titanica potenza architettonica del centro di Skopje, prima della visita a cui dedicheremo tutta la giornata successiva.


 

 16 Luglio 2015 – Visita a Skopje 

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Skopje è la città più kitsch del mondo. Per lo meno è la più kitsch tra quelle che ho visitato io. Il centro è stato completamente rinnovato costruendo imponenti edifici di stile neoclassico, in un tripudio di colonne simil-tempio greco e imponenti statue che rappresentano vari personaggi storici, e che trovano l’apoteosi nella possente statua di Alessandro il Macedone nella grande Piazza Macedonia, sopra un enorme piedistallo al centro di una fontana con giochi d’acqua e luci colorate di gusto quanto meno discutibile. L’effetto complessivo è un po’ disturbante, perchè è chiara la recente costruzione di edifici che ad una prima impressione dateresti un secolo prima come minimo (a parte la perfetta verniciatura delle pareti), ma poi leggendo le targhe all’ingresso c’è scritto che sono stati completati nel 2012. Lo sfarzo delle costruzioni stride molto con la condizione generale della Macedonia che non naviga certo nell’oro, e ha suscitato varie polemiche per l’utilizzo di denaro pubblico che poteva essere meglio speso.

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Fa un caldo notevole e io soffro l’accumulo di fatica di cinque giorni ininterrotti di viaggio. Se il giorno prima ero arrivato perfettamente in forma, la mattina del risveglio a Skopje mi reggo a stento in piedi, o quasi. Con Bikermary alterniamo la visita alla città con la ricerca di un posto dove lavare la bomba chimica, ovvero il sacco di indumenti da bici sporchi che ormai è al limite delle sue possibilità di resistenza. Troveremo non senza fatica una lavanderia nel piano seminterrato di un centro commerciale, davanti ad una specie di fast food che emana odore e fumo di fritto per la gioia degli indumenti appena usciti dalla lavatrice.
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Piazza Macedonia è lastricata di marmo bianco che al sole ha un effetto abbagliante; inoltre è enorme e c’è pochissima ombra, data da un po’ di giovani alberi che tra qualche decennio creeranno sicuramente un bellissimo ombrello di fronde per godersi il fresco sulle panchine ma che al momento sono utilizzabili come temporanee zone di sosta per il nostro procedere ombra-ombra fino ad attraversare la piazza da un estremo all’altro. Dalla piazza si accede alla riva opposta del fiume Vardar tramite due ponti, di cui uno è il famoso Kamen Most. Il Museo Archeologico si erge imponente con le sue enormi colonne con tanto di capitello ionico, insieme ad altre grandi statue sparse in giro.

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Ci infiliamo nelle stradine dell’antico quartiere ottomano, pieno di negozietti di varia chincaglieria ma comunque interessante, ai margini del quale troviamo una “rosticceria” fornita di ogni sorta di cibo di strada balcanico, pranzo perfetto per il nostro soggiorno.
In un giardino pubblico che si raggiunge attraversando l’arco di trionfo che dà sulla piazza Macedonia ci sono degli assembramenti che hanno tutta l’aria di una manifestazione politica, con bandiere della Macedonia, gazebo con evidenti segni del consumo di pasti, bacheche di libri e un palco con impianto di amplificazione per tenere comizi e raduni.
Nello stesso giardino ci sono altre imponenti statue tra cui spicca l’atleta con torcia olimpica, dietro il quale si ergono quattro colonne sovrastate da una sorta di frontone con la scritta “IMMORTALIS” e quattro cavalli rampanti stile Brandeburger Tor di Berlino con alle spalle una sorta di tempietto fatto di colonne disposte a cerchio.
Piano piano il sole cala, le forze ritornano e chiudiamo la serata nella sfarzosa capitale macedone pronti per nuove avventure.



 17 Luglio 2015 

Oggi ci attende un percorso tutto sommato tranquillo e con altimetria relativamente facile, prima della prossima impegnativa tappa con due salite che ci riporterà sul lago di Ohrid e concluderà il giro della Macedonia. Lasciamo l’abbagliante selciato di Плоштад Македонија, Piazza Macedonia e ci avviamo in direzione ovest verso i sobborghi della città, dopo un ultima occhiata al parco e il passaggio sotto la monumentale Porta Macedonia, il faraonico arco di trionfo dalla forte somiglianza con quello di Parigi, eretto per celebrare l’indipendenza del Paese dopo le guerre balcaniche degli anni ’90. Incontriamo un nutrito gruppo di ciclisti locali muniti della migliore tecnologia disponibile che ci indicano la strada per uscire dalla città, ma l’errore è in agguato, come sempre.

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L’indicazione prescrive di arrivare nel quartiere Gjorche Petrov e poi prendere una strada secondaria che ci porterà dritti a Tetovo, a circa metà strada rispetto alla meta di oggi. Io stesso avevo meticolosamente preparato prima di partire le “istruzioni” con la nota relativa a questo tratto di percorso, dove ad un certo punto si dice che arrivati in prossimità del ristorante Miracoli Uno si gira a sinistra prendendo il ponte sul Vardar e da lì in poi siamo sulla strada giusta. Il miracolo però non si compie, saltiamo il ristorante senza accorgercene e di fronte a noi si piazzano in bella mostra gli archi del casello autostradale. Come ci siamo arrivati non è chiaro tutt’ora, successive ricognizioni su Google Street View non hanno ancora individuato dove sia il punto esatto in cui si trovi questo casello, ma fatto sta che è lì davanti a noi e dobbiamo prendere una decisione. La decisione più normale sarebbe quella di tornare indietro e cercare la deviazione, ma per quella strana legge non scritta del viaggio per cui “indietro non si torna”, guardiamo i semafori verdi e non ci decidiamo a girare le ruote per trovare la retta via. Intanto che stiamo lì a cercare di capire spunta dalla finestrella del casello la signorina casellante che ci fa cenno di proseguire, come se prendere l’autostrada in bicicletta fosse la cosa più normale del mondo. Mancava solo questo incentivo, per cui un po’ perplessi salutiamo e ci incamminiamo sulla corsia di emergenza, superati dalle poche auto che sono appena ripartite dopo la sosta per il pagamento del pedaggio. E’ inequivocabilmente un’autostrada uguale alle nostre, con i cartelli verdi, due corsie per senso di marcia più emergenza, spartitraffico centrale con le siepi e tutti gli annessi e connessi di un’autostrada. Comprese pattuglia della polizia stradale parcheggiata poche centinaia di metri più avanti, con regolamentare agente che ci fa cenno con la paletta di accostare, come se fossimo due automobilisti qualsiasi a cui fare un controllo di patente e libretto. Ci fermiamo e salutiamo, l’agente molto cortesemente ci fa notare che questa è un’autostrada e che non si potrebbe circolare in bicicletta, ma dal momento che gli siamo simpatici possiamo passare, l’importante è che ci teniamo sulla destra e che stiamo attenti. Non ha detto esattamente “perchè gli stiamo simpatici”, ma dopo un minuto la conversazione (in inglese ovviamente) ha virato sulla nostra vita, da dove veniamo, che mestiere facciamo in Italia, che viaggio stiamo facendo e così via. Ci fosse stato un bar ci avrebbe offerto una birra. Dopo esserci cordialmente salutati partiamo, ormai rassicurati, sulla nostra bellissima corsia di emergenza, praticamente una strada tutta per noi, perchè se state viaggiando in macchina la corsia di emergenza dell’autostrada sembra stretta, ma in bici è ottima e abbondante per viaggiare in tutta sicurezza. L’autostrada è liscia come un biliardo, il traffico è scarso e non vanno neanche tanto forte. Sul percorso incontriamo i cartelli “Avtopat Maika Tereza” (Autostrada Madre Teresa) e occasionalmente qualche uscita. Non ci facciamo mancare niente per cui alla prima stazione di servizio con annesso minimarket ci fermiamo per una “sosta tecnica” e per rifornirci di acqua fresca.
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La presenza nostra e delle bici non desta la minima sorpresa negli astanti. Ritroviamo l’agente di prima che fa una sosta nel suo giro di pattugliamento, e infine riprendiamo la strada in direzione Tetovo. Sulla sinistra si vede a tratti la strada che avremmo dovuto prendere, che è anche un po’ in saliscendi mentre noi viaggiamo in leggerissima pendenza, praticamente impercettibile e molto più costante. Gli ultimi km sono in discesa, una lunga e velocissima discesa fatta a 50-60km/h fino al casello di Tetovo dove usciamo come se nulla fosse (senza pagare, ovviamente). Tetovo è una cittadina di piccole dimensioni nell’angolo nord-ovest della Macedonia, a breve distanza dal Kosovo da cui è separata da alte montagne. Da Tetovo dobbiamo puntare ora a sud per tornare sul lago di Ohrid e in Albania. Seguiamo i cartelli per Gostivar ma ad un certo punto ci ritroviamo nuovamente di fronte un casello autostradale. No, grazie, 20km di autostrada per oggi possono bastare. Stavolta torniamo indietro e dopo non semplici deviazioni troviamo la strada giusta, anzi ancora più giusta di quella originariamente pianificata. Ci infiliamo in una tranquillissima serie di stradine di campagna che attraversano piccoli villaggi di poche case e si dipanano in una placida pianura e sulla sinistra, a distanza, le montagne che ci separano dal Kosovo e dall’Albania.

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Facciamo pausa pranzo nel penultimo paesino prima di Gostivar, dove incontriamo dei bambini che ci osservano a breve distanza; uno di questi attacca discorso in tedesco e si viene quindi a sapere che sono Macedoni di etnia albanese e vivono in Svizzera; dopo qualche minuto arriva il padre di uno di questi che in italiano ci chiede dove stiamo andando e nel caso avessimo bisogno di qualcosa possiamo sempre tornare da loro che qualche soluzione al nostro problema (ne dovessimo avere uno) si troverà.
Lasciato il penultimo paesino prima di Gostivar entriamo nell’ultimo dove facciamo un altro interessante incontro. Mentre viaggiavamo tranquillamente in direzione della città siamo superati da una enorme berlina tedesca nera con targa svizzera dentro la quale gli occupanti si sbracciano a salutarci. Niente di strano, un sacco di gente ci saluta dalle auto in questi giorni. Dopo pochi minuti vediamo un uomo sui 40 anni sul marciapiede che ci fa chiaro segno di accostare. Ci fermiamo (“ma dice proprio a noi ?”) e l’uomo ci invita ad entrare nel giardino di casa sua, chiarisce che era uno di quelli che ci salutava poco fa dalla macchina e ci spiega che è molto interessato a conoscere questi due viaggiatori che stanno visitando il loro paese in bicicletta.

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Ci accomodiamo nel giardino dove ci offrono abbondante acqua fresca e ci intratteniamo una mezz’ora a parlare (in tedesco). Sono anche loro macedoni di etnia albanese, come molti nella zona (anzi alcuni paesi sono totalmente abitati da albanesi) e vivono in Svizzera dove lavorano (e guadagano bene, a giudicare dalla macchina…), per tornare d’estate nella casa che si sono costruiti in Macedonia appositamente per le vacanze. Sono due fratelli e il padre, con le rispettive mogli in abiti tradizionali del posto, e altre persone e bambini della famiglia, ai quali i nostri interlocutori traducono quello che diciamo, con grandi espressioni di meraviglia alle nostre dichiarazioni su quanti km facciamo al giorno e quanti ne abbiamo fatti fino ad ora. Siamo capitati in una giornata particolare, una festa religiosa in cui le famiglie si riuniscono, e infatti di lì a poco arriva una torma di altri parenti, per cui ringraziamo e togliamo il disturbo. Arriveremo dopo poco a Gostivar, una cittadina di popolazione mista macedone-albanese: su ogni lampione del viale principale c’è una coppia di bandiere, una albanese e una macedone. Passiamo la fine del pomeriggio in attesa dell’ora di cena gironzolando per la città addentrandoci anche in qualche zona un po’ sgarrupata dal chiaro sapore ex-Yugoslavo.



 18 Luglio 2015 

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Salutiamo Gostivar con una macedonia a colazione, direi d’obbligo, percorriamo il viale con le doppie bandiere e ci avviamo per affrontare la tappa più impegnativa del viaggio, 107km con due salite. La prima è la nostra Cima Coppi, il passo più alto di tutto il percorso, passo Straza a 1210m sul mare, la seconda salita è più breve e ci riporta a 1050 dopo essere scesi per molti kilometri fino a 600, per poi scendere nuovamente, e definitivamente (salvo un ulteriore strappetto 30km prima della conclusione) sul lago di Ohrid, dove si chiude il giro ad anello della Repubblica Ex Yugoslava di Macedonia (FYROM), che chiude idealmente l’esplorazione della fu Yugoslavia.

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Le salite sono abbastanza regolari e la pendenza si mantiene tra il 5 e il 6%, non eccessive ma rispettabili. Le lunghe discese permettono andature “motociclistiche” molto divertenti. L’incontro della giornata, per quanto relativamente fugace, è con un ciclista da corsa che ci raggiunge mentre siamo fermi ad una fontana a bordo strada. La giornata è molto calda; nella zona centrale tra le due salite, dove ci troviamo in quel momento, intorno ai 600m di quota, abbiamo già abbandonato da tempo la relativa frescura dei 1200m del passo Straza; inoltre sono circa le 13, insomma fa un gran caldazzo e ogni volta che troviamo una fontana ci fermiamo a rinfrescarci.

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Mentre Bikermary è intenta ad alleviare la calura infilandosi praticamente nella vasca della fontana, arriva il ciclista. Si ferma e chiede se abbiamo una pompa e possiamo aiutarlo a rigonfiare una ruota decisamente “morbida”. Dice che mancano una decina di km a casa per cui dovrebbe riuscire ad arrivarci se gli diamo una bella gonfiata. Tiro fuori la mia pompetta da viaggio, piccola ma efficace, e parto a gonfiare. Ci vorrà un po’ prima di riportare la gomma ad una pressione buona per riprendere il cammino. Infine, valutando la pressione “a pollice” il ciclista balcanico decide che è buona. Ringrazia, si rimette in sella e scompare velocemente. Bikermary ed io restiamo molto perplessi dal fatto che nel frattempo non si fosse minimamente rinfrescato. E’ partito nella calura cocente del mezzogiorno (solare) di un giorno di metà Luglio in mezzo alla pianura a latitudini pari a quelle del nostro meridione, senza aver toccato una goccia d’acqua. Incontriamo la successiva fontana poco prima della seconda salita; Bikermary non se la fa scappare e si bagna goduriosamente i piedi sotto il getto d’acqua. Faremo un’altra sosta alla fine della discesa ma un nugolo di vespe non molto ospitali ci fa sloggiare dopo poco. Non è la prima volta che succede, nei giorni precedentei almeno in altre due occasioni siamo dovuti scappare di corsa inseguiti da vespe e altri animali volanti. Giungiamo quindi a Struga nel pomeriggio inoltrato trovando una vivacissima cittadina di villeggiatura piena di gente.