1 – 10/7: Trieste – Rijeka, 77km

Slovenia

Lo Jugotour parte dalla stazione centrale di Trieste. Scarichiamo le biciclette alle 14.20 di una calda giornata di Luglio. Usciamo sulla strada e cerchiamo qualche indicazione. Dobbiamo andare in Croazia ma prima va attraversato un pezzetto di Slovenia: è giusto così, anche la piccola Slovenia era parte di quella Jugoslavia che ci accingiamo ad esplorare. Dopo pochi minuti la strada inizia a salire verso la frontiera di Basovizza. Il caldo è tanto ma la salita per fortuna non è eccessivamente impegnativa. E’ per un breve tratto la stessa strada che avevo percorso nel 2006 in direzione Ljubliana, diretto a Budapest – Cracovia – Varsavia. Si deve arrivare dal mare a circa 500m di quota, il dislivello non è poco per cui si va piano piano per limitare la fatica. Alla frontiera la prima foto obbligatoria con il cartello SLOVENIA, che ai tempi mi ero perso. Il traffico non è intenso e decidiamo di proseguire sulla strada principale per Rijeka invece di deviare su una strada minore parallela che avevo inizialmente previsto, per accorciare un po’ e diminuire leggermente il dislivello da affrontare. La strada fa su e giu e si va piano. Sosta presso un bar per rifocillarci, siamo ormai in quota e il caldo è meno afoso; le verdi colline slovene ci circondano, il traffico ogni tanto è fastidioso per i numerosi mezzi pesanti. Si entra quindi in Croazia. Controllo documenti e lunga discesa verso il mare. Rijeka si presenta con i bagnanti che tornano dalle spiagge su bus gialli dall’aspetto anni 70. Arriviamo sul Korzo, il corso principale. L’ufficio informazioni turistiche ha appena chiuso, la signora che lo gestisce chiacchiera al cellulare e noi dietro la vetrina cerchiamo di farci notare, ma niente da fare; il nostro aspetto di ciclisti un po’ sfatti dal caldo non la intenerisce, ci ignora palesemente, eppure a noi basterebbe solo l’indirizzo di un albergo dignitoso e nulla più. Compriamo una cartina all’edicola all’angolo e chiediamo se ci possono indicare un albergo in zona. Lo troviamo dopo poche centinaia di metri: albergone imperiale (pronunciato con la voce narrante di Fantozzi quando parla delle poltrone in pelle umana del megadirettore naturale), totalmente fuori budget ma è quasi buio, siamo stanchi e affamati. La conclusione è “chissenefrega quanto costa“. Dopo aver smesso i panni di ciclisti allo stato brado puntiamo verso un ristorante di pesce e poi quattro passi in una città insolitamente deserta.

2 – 11/7: Rijeka – Karlovac, 130km

Croazia

L’albergone imperiale offre abbondanti libagioni a colazione, profumatamente pagate in anticipo con la camera, ma contro la fame del ciclista andrà sempre in perdita. Usciamo dalla città inerpicandoci sulle colline alle sue spalle. La salita deve portarci dal mare fino a quasi 900m di quota per cui confidiamo in un clima più fresco rispetto al giorno prima. Si lascia l’abitato seguendo la valle della fiumara in un paesaggio di rocce bianche che guardano il mare da lontano. La salita è divisa in due tronconi, la prima parte più impegnativa con un tratto per respirare intorno a Cavle, dove la strada costeggia l’autostrada; successivamente, dopo aver superato i 500m di quota diventa un po’ più facile per terminare a Gornje Jelene, dopo circa 25km da Rijeka. In realtà si fa ancora su e giù per molti kilometri, con tratti che sembrano essere sempre “l’ultima salita” ma poi c’è n’è sempre un’altra. Il paesaggio è verdissimo e a volte si stagliano a breve distanza massicce rocce dall’apparenza di piccole Dolomiti. Ci fermiamo a mangiare prima ai margini di un bosco e poi in uno dei tanti paesini che si susseguono sulla strada, visitando il primo di una lunga serie di supermercati KONZUM.

In mezzo alle colline

L’impressione è di grande pace, la strada si snoda spesso solitaria e il traffico è scarsissimo. I centri abitati sono a volte solo poche case. Ci stiamo allontanando dal mare e dal turismo, addentrandoci nella Croazia interna, dove forse vedono un turista una volta ogni morte di papa. La strada per Karlovac è lunga, non ci sono possibilità di pernottamento intermedie per cui siamo obbligati ad arrivare in fondo alla tappa, dopo aver percorso 130km. Gli ultimi 40km sono in pianura, dopo l’ultima discesa che porta brevemente da 500 a 200m di quota. A Karlovac troviamo un pub-pizzeria che ci serve delle pregevoli pizze con “ketchup” – almeno così c’è scritto sul menu tra gli ingredienti. Le ordiniamo temendo il peggio, ma  si riveleranno tutto sommato dignitose. Le ipotesi sono due: in croato non c’è una parola per dire “salsa di pomodoro”, per cui scrivono “ketchup”, oppure la fame fa sembrare tutto buono.

3 – 12/7: Karlovac – Zagreb, 59km

Cicogne

Alla partenza il cielo è plumbeo, soffici nuvole cariche di umidità si appoggiano sulle colline su cui dovremmo salire; sembra minacciare pioggia e fa già troppo freddo per i miei gusti, mentre Bikermary è felice perchè questa è la temperatura giusta per lei. L’itinerario originale prevedeva 100km sulle colline nei pressi del confine con la Slovenia per poi terminare a Zagabria. Il clima incerto ci fa propendere per una strada più diretta (n.1) che passa da Jastrebarsko restando tutta in pianura. E’ più corta di 40km e probabilmente meno scenografica dell’altra ma inaspettatamente tranquilla e piacevole. Si attraversano i soliti paesini che stavolta sono meno isolati tra loro, con due file di case a bordo strada.

Ingresso nella provincia illirica

Le case sono un po’ distanti dalla strada e l’impressione è di una visuale ampia davanti e di lato. Facciamo una sosta in una stazione di servizio dal bagno un po’ “balcanico”. Entriamo a Zagabria attraversando un ponte sul fiume Sava e ci addentriamo fino in centro città pedalando sui marciapiedi o su piste ciclabili. Una piccola stele annuncia che stiamo attraversando la “Granica Ilirskih Pokrajina u vrijeme Napoleona”, la frontiera della provincia illirica al tempo di Napoleone (1809-1813). Tocchiamo la storia con le nostre ruote. Serata a gironzolare per il centro storico nei pressi della cattedrale, fino a quando una leggera pioggerella vince la nostra già poca resistenza al sonno e ci manda a dormire.

4 – 13/7: Zagreb – Bosanska Kostajnica, 94km

Zagreb

L’ingresso a Zagabria era stato tutto sommato facile e tranquillo; l’uscita – in direzione Velika Gorica – sembra essere altrettanto tranquilla, ma ad un certo punto gli ampi marciapiedi con pista ciclabile che ci avevano accompagnato tranquillamente lungo le grandi arterie che portano verso i sobborghi periferici, passando vicino a grandi palazzi governativi, spariscono nel nulla e l’unica via d’uscita è uno stradone veloce senza il minimo spazio laterale. Orde di automobili e camion inferociti si susseguono a ondate scandite dal ciclo dei semafori. E’ un traffico brutale che non lascia scampo, tanto che ad un certo punto per disperazione decidiamo di camminare a piedi sull’erba dell’ampio spartitraffico centrale, di cui non si vede la fine.

Bikermary alla ricerca di una brugola

Alla fine ci buttiamo nella mischia sperando di uscirne (vivi) il più presto possibile. Dopo Velika Gorica il traffico ritorna umano e la strada prende un aspetto accettabile, per quanto ancora un po’ trafficata per diversi kilometri. Sarà finalmente più traquilla dopo Petrinja, negli ultimi km che ci separano da una nuova frontiera. Ci stiamo dirigendo infatti verso il confine con la Bosnia, dove entreremo attraverso il ponte sul fiume Una che offre uno scorcio fluviale spettacolare. La guardia di frontiera ci chiede dove stiamo andando e comunica con soddisfazione il nostro itinerario a tutti i suoi colleghi di servizio in quel momento. Gli ultimi kilometri di Croazia mostrano già quelli che forse sono i primi segni della guerra. Numerose case abbandonate, alcune semidiroccate. Non ne siamo certi ma potrebbe essere la prima traccia tangibile di fughe per evitare il peggio, o di occupazione e cacciata degli abitanti. Ne vedremo anche in altre occasioni e avremo la conferma che è come pensiamo: gli abitanti furono cacciati e nessuno ci andò ad abitare successivamente.

Fiume Una, confine Croazia-Bosnia

Arriviamo a Bosanska Kostajnica, Republika Srpska, la parte serba della Bosnia, e cerchiamo l’unica pensione esistente nei dintorni. Chiediamo un po’ in giro ma nessuno parla inglese o tedesco. La signora dell’edicola subito dopo la frontiera si prodiga in una dettagliata spiegazione in lingua madre, che ascoltiamo coscenziosamente perchè tanto impegno va onorato; il nostro sguardo perplesso è però eloquente e ad un certo punto la signora sembra avere un’idea brillante: chiama la ragazza del negozio di fronte, la quale – sicuramente – parlerà inglese e ci spiegherà facilmente come trovare il posto che cerchiamo. Neanche per idea: la fanciulla parte diretta anche lei in serbo-croato spiegandoci che dobbiamo andare un po’ pravo poi levo poi qualche altra cosa che resterà sepolta nei misteri delle lingue slave. Ringraziamo e proseguiamo, almeno la direzione giusta l’abbiamo presa. Chiediamo in una casa più avanti, ma nema angliska anche loro, non c’è speranza. Finalmente troviamo la pensione, che si rivela una piacevolissima sorpresa. E’ posta leggermente in alto di fronte una grande spianata circondata da colline, alla cui sinistra il sole sta tramontando. Il clima è fresco e l’atmosfera idilliaca. Le galline razzolano in giro, due gatti si inseguono impegnati in una finta lotta su un tavolo, alcune papere conversano amabilmente, milioni di moscerini svolazzano attorno alle lampade e noi ci godiamo il fresco davanti ad una buona cena e una Nektar Pivo, la birra di Banja Luka.

5 – 14/7: Bosanska Kostajnica – Banja Luka, 100km

Banja Luka

La pensione è a gestione familiare e il marito della signora che ci ha accolti, un ometto simpatico che parla un po’ di italiano perchè “è molto intelligente” (così asserisce), interpellato dopo colazione ci consiglia una deviazione rispetto alla strada inizialmente prevista, che doveva costeggiare il fiume Una fino a Novi Grad per poi puntare verso Prijedor. La deviazione sale leggermente sulle colline tagliando di diversi kilometri, ma soprattutto è una strada quasi deserta. L’ometto della pensione non si è sbagliato: viaggiamo nella tranquillità più assoluta in un paesaggio rurale dove ogni casa ha la stalla, il pagliaio e il cortile; avvistiamo maiali a libero pascolo, bovini e altri animali da cortile. Le brevi salite sono facili tranne qualche breve strappo di tanto in tanto, ma la pace dei luoghi ripaga mille volte la poca fatica necessaria. A Prijedor ci reimmettiamo sulla strada principale, uno stradone un po’ trafficato ma soprattutto soffocato dall’afa più bestiale che si possa immaginare. A destra c’è una grande pianura e a sinistra basse colline. Raggiungiamo con una certa fatica Banja Luka, non tanto per l’altimetria estremamente facile ma per il caldo asfissiante. L’acqua nello zaino idrico è caldissima; si sta veramente esagerando, ma fortunatamente durerà solo un giorno.

Banja Luka

La città è bella e pullula di vita notturna, piena di giovani che passeggiano nelle vie del centro. Non ci sono segni di guerra ma il suo nome è tra i più citati nella storia del conflitto, in quanto gli abitanti croati e bosniak (ovvero i bosniaci musulmani) furono costretti a lasciarla, o furono deportati in campi di concentramento, tra il 1992 e il 1995. La città è sede del governo della Republika Srpska.
Nel nostro albergo si tiene un matrimonio tipicamente serbo-bosniaco. Gli invitati arrivano su automobili con la bandierina della Republika Srpska, fanciulle dalla fiera bellezza balcanica vanno e vengono tra la hall e la sala del ricevimento. Ci soffermiamo ad ascoltare il cantante che intona tipiche canzoni balcaniche e abbiamo la tentazione di imbucarci alla festa, anche perchè le libagioni sono abbondanti e la fame di sicuro non ci manca (l’abbigliamento invece è decisamente poco consono). Alla fine desistiamo ma chissà, forse se avessimo osato saremmo stati anche accolti come attrazione della serata (i-due-italiani-arrivati-in-bicicletta).