6 – 15/7: Banja Luka – Bosanski Brod, 110km

“Srpska je samo cirilitsa”

Lasciamo Banja Luka puntando inizialmente a nord sulla strada principale che ci porta fuori dal centro storico. Se la sera prima le vie del centro erano piene di belle ragazze e di giovanotti che trascorrono il sabato in compagnia, la mattina dopo ci immergiamo nella zona popolare in un grande mercato a cielo aperto degli oggetti usati. In realtà il mercato è solo un marciapiede, sede di scambio e compravendita di vecchie cose che noi porteremmo in discarica. C’è chi vende vecchi cellulari, scarpe usate, giocattoli e svariati altri articoli che a me non servono più ma magari servono ad un altro. I volti sono molto diversi da quelli delle ventenni in tiro e dei loro spasimanti della sera prima. Sono volti  di gente anziana, scavati dalla fatica di tirare avanti a fine mese, forse con l’animo segretamente segnato dalla storia recente, che i giovani sembrano invece ignorare. La strada per Bosanski Brod è di nuovo abbastanza tranquilla, troviamo una delle pochissime fontane (la seconda fino ad ora). Altimetria facile con piccoli saliscendi. Lungo la strada c’è uno striscione che recita “Srpska je samo cirilitsa” (“il serbo è solo cirillico“, ed è ovviamente scritta in cirillico), che rimette le cose a posto se per caso non vi foste accorti che qui siamo in zona serba. La lingua serbo-croata è dura e tagliente come un coltello affilato, specchio di una storia spesso violenta, come testimoniato dal libro di Ivo Andric “Il ponte sulla Drina“, che avevo letto prima di partire. La Drina è il fiume che fa da confine tra Serbia e Bosnia, la cui acqua ha visto le più feroci atrocità della guerra in Bosnia.

7 – 16/7: Bosanski Brod – Vukovar, 97km

Il gioco del tubo

Da Bosanski Brod si passa subito il confine e rientriamo in Croazia, a Slavonski Brod, nella regione della Slavonia. E’ pianura con un po’ di lunghissimi saliscendi ma niente di difficile. Strada tranquilla in mezzo a tanti paesini di aspetto povero. In una delle pause per mangiare siamo avvicinati da un gruppo di bambini che giocano attraversando la strada infilandosi in un cunicolo che passa sotto l’asfalto e porta da una parte all’altra. Si incuriosiscono per le nostre biciclette e l’entusiasmo è alle stelle alla scoperta delle trombette, che iniziano a suonare (con buona pace della casa sotto la cui finestra ci eravamo fermati) ridendo e divertendosi per un quarto d’ora. Ai primi se ne aggiungono successivamente altri che contribuiscono alla confusione. Sono tutti senza scarpe e si palleggiano una bambina di forse due anni con solo una magliettina addosso, la quale ha uno sguardo perplesso e un po’ rassegnato. Comunicare è quasi impossibile ma riusciamo a farci dire i loro nomi e a fare delle simpatiche foto ricordo. Dopo questo incontro pieno di allegria e umanità ripartiamo in direzione Vukovar, una delle città simbolo e martire della guerra in Croazia.

Murale di Vinkovci

Qui i segni della guerra sono evidentissimi. Case abbandonate e diroccate lungo la strada, poi in città ancora ruderi o case abitate letteralmente crivellate di colpi. Davanti all’albergo c’è lo scheletro di un palazzo totalmente sventrato con solo i pilastri tranciati a un paio di metri da terra. Alcuni km prima di arrivare in città, a Vinkovci, si passa accanto ad un lungo muro a bordo strada con i ritratti delle prime vittime della guerra, quando a Borovo Selo, villaggio a due passi da Vukovar, furono uccisi 12 poliziotti croati, considerato uno degli episodi chiave della guerra. Gli ultimi km prima di Vukovar coincidono un tratto della Donauradweg, su piccole strade rurali senza traffico. Incontriamo numerose tombe a bordo strada, tutte con lo stesso anno scritto sulla lapide, il 1991. Sono di cittadini di Vukovar che trovarono la morte in quei luoghi.
Alloggiamo nell’unico albergo esistente dove incontriamo due cicloturisti tedeschi che stanno percorrendo la via del Danubio e sono diretti, come noi, a Belgrado. Dopo cena facciamo due passi e le rovine della guerra, al buio, sembrano ancora più spettrali.

8 – 17/7: Vukovar – Novi Sad, 83km

Vukovar

Lasciamo la città lungo una strada ancora costellata di ruderi e ferite sanguinanti. Passiamo accanto alla vecchia torre per la raccolta dell’acqua. Sta in piedi ma è crivellata di colpi di mortaio, con il grande serbatoio semidistrutto e arrugginito, rimasto come si trovava dopo aver assistito a mesi di assedio e bombardamenti che nel 1991 hanno totalmente devastato la città.
Poco fuori l’abitato ci fermiamo al cimitero di Vukovar dove c’è una zona per i morti della guerra. File di tombe tutte con lo stesso anni di morte, 1991, e l’iscrizione “Hrvatski branitelj” (difensore della Croazia). E’ impressionante ed angosciante: una moltitudine di persone, per lo più giovani tra i 20 e i 30 anni, morte tutte negli stessi mesi di quell’anno, e accanto un campo con un migliaio di croci senza nome.

Cimitero di Vukovar

Per strada, vicino ai confini, si vedono auto con targa croata, bosniaca e serba; mi chiedo come facciano a convivere ignorando apparentemente ogni cosa, che però è sbattuta in faccia da ogni casa abbandonata, da ogni rudere e da ogni tomba a bordo strada. Si lascia Vukovar lungo il Danubio, direzione Belgrado. La strada è tranquillissima e facile fino al confine con la Serbia. Dopo Ilok si può decidere se passare a Backa Palanka (sulla riva sinistra) o proseguireancora sulla riva destra fino a Novi Sad. A Nestin, un piccolo villaggio poco dopo il confine, abbiamo un altro incontro con i bambini del luogo. Questa volta non fanno rumore con le nostre trombette ma riusciamo anche a comunicare un po’ perchè alcuni di loro studiano italiano a scuola.

Nestin, la classe al completo

La “capa” del gruppo, Ivana, ha 12 anni, si intrattiene con noi e fa da interprete per gli altri, oltre a farci entrare infine a casa sua per riempire le sacche dell’acqua.
Proseguiamo ancora sulla riva destra del Danubio, la strada fa un po’ su e giù ma niente di difficile. Per entrare a Novi Sad c’è ancora una piccola collina da scalare, poi si attraversa il Danubio e ci inoltriamo in città fino alla piazza principale con la cattedrale, dove troviamo un albergo.

9 – 18/7: Novi Sad – Beograd, 74km

Novi Sad

Usciamo da Novi Sad sulla strada 22-1; a parte una breve collina iniziale non presenta alcuna difficoltà. Si attraversano le cittadine di India, Stara Pazova, Nova Pazova. E’ tutta pianura e rettilinei, niente di particolare da vedere. In realtà sarebbe molto meglio seguire il Danubio proseguendo sulla Donauradweg ma preferiamo abbreviare un po’ dato che Bikermary deve prendere il bus la sera stessa per tornare in Italia. Avvicinandoci a Belgrado il traffico aumenta e rallenta, fino a bloccarsi del tutto.

Traffico a Belgrado

Superiamo lentamente le auto incolonnate fino quando, a Zemun, l’ultimo sobborgo prima della città, comprendiamo cosa succede: uno degli scassatissimi autobus urbani, più scassato degli altri, è fermo per un guasto e blocca totalmente la strada. Le auto in coda non protestano neanche, aspettano rassegnate e forse sono ancora lì. Lo superiamo e riusciamo finalmente a raggiungere il centro dirigendoci verso la stazione dei pullman, passando davanti al possente Hotel Jugoslavia, che nel passato ha visto alloggiare importanti capi di stato e personalità di tutto il mondo. Fu colpito da due missili durante i bombardamenti NATO del 1999 durante la guerra del Kosovo.

Museo Nikola Tesla

Bikermary parte in serata per tornare in Italia, il suo viaggio finisce qui. Io mi fermo un giorno a visitare la città. La visita mi fa scoprire, oltre ai tradizionali luoghi turistici della città, due piccole perle: il museo Nikola Tesla e il museo dell’automobile. Il primo è una piccola raccolta di modelli di macchine elettriche che riproducono le invenzioni e gli esperimenti del grande fisico serbo nel campo dell’elettromagnetismo. I modelli sono funzionanti e durante una visita guidata di circa mezz’ora viene spiegato e mostrato il loro funzionamento; successivamente viene proiettato un filmato che ripercorre la vita e la carriera scientifica di Tesla.

Nikola Tesla sulla banconota da 100 Dinari

Oltre agli esperimenti sono raccolti documenti e oggetti personali dello scienziato, il quale è ricordato anche nella banconota serba da 100 dinari, forse l’unica banconota al mondo sulla quale è scritta una delle classiche formule della fisica ben note agli studenti di ingegneria elettronica (T = Wb/m²).  Il secondo è un piccolissimo museo che contiene un gran numero di auto d’epoca, modelli di grande diffusione e vetture più rare e insolite. Sono tutte parcheggiate in bell’ordine e protette da un cordone tenuto da parchimetri anche loro d’epoca. Il museo colpisce per la grande semplicità della struttura, che è semplicemente un’autorimessa, un vecchio garage trasformato in esposizione di auto di tutte le epoche, tenute con passione, perfettamente in ordine e lucidate a specchio; sembrano pronte per partire e l’ambientazione dell’autorimessa, molto diversa da un’asettica sala di museo, accentua quest’impressione.

10 – 20/7: Beograd – Valjevo, 77km

Artista di strada a Belgrado

Esco dalla capitale serba lungo la strada che costeggia la Sava, l’altro fiume della città che proprio a Belgrado si innesta nel Danubio. L’uscita dal centro abitato è tranquilla, si percorre anche un tratto su pista ciclabile seguendo la strada per Obrenovac, costeggiando il fiume e l’isola Ada Ciganlija con il suo parco. Dopo qualche km la strada diventa una superstrada, forse anche vietata alle biciclette, ma il traffico è scarsissimo e mi avventuro senza problemi. Sono solo pochi km, ad Obrenovac ritorna la strada normale, che si inoltra nelle campagne. Pochi piccoli villaggi e tanta polvere. Fa caldo, ad ogni auto o mezzo pesante sono nuvole di polvere che si alzano.

Belgrado

L’ambiente ha qualcosa di selvatico, sono in mezzo al nulla, tra basse colline e procedo spedito, la strada non ha difficoltà altimetriche particolari ma l’asfalto serbo è un po’ malmesso e la velocità è bassa. Raggiungo Ub, dove faccio una sosta incontrando un padre con la figlia quindicenne, incuriositi dalla mia bicicletta, con i quali faccio un po’ di conversazione in inglese. Dopo una decina di km mi ricollego alla strada principale per Valjevo, ridente cittadina con qualche velleità turistica nonben supportata dal locale ufficio informazioni, uno stanzino pieno di masserizie buttate per terra, con un’impiegata che non parla nessuna lingua a parte il serbo e telefona ad una sua amica che faccia da interprete.

Mercato sulla strada per Valjevo

Mi mandano ad un hotel presso un centro sportivo a pochi minuti di strada. Bella struttura, nuova e pulita, dotata di quello che vince la palma di “peggior ristorante di tutti i miei viaggi”. La cena (inclusa nel prezzo), prevede un piatto di “pasta” da denuncia per maltrattamenti (del fusillo). La mangio perchè quello c’è e sempre carboidrati sono, ma questa volta neanche la fame riesce a farlo sembrare buono (e c’era veramente il ketchup).